C'è un nuovo commissario sugli scaffali delle librerie, l'ha creato Filippo Bologna e risponde al nome di Dino Santini. Opera in una Viareggio autunnale, città della quale l'autore riesce a raccontare anche la parabola mondana: dall'era in cui D'Annunzio attraversava a cavallo le pinete immortali all'età dell'oro della Capannina, fino alla recente invasione di magnati russi.
A parte il titolo chandleriano ( I morti non hanno fretta , Mondadori, pagg. 216, euro 17) e qualche acquazzone sui condolenti rubato magari ad Hammett, il romanzo è immerso in atmosfere metà italiane e metà francesi. Santini ha la fronte tormentata di un Ingravallo, e un rapporto stretto, ma non patologico (il che, rispetto alle nevrosi edipiche di Gadda, è un'aggravante) con la madre; aria da Pasticciaccio stemperata da un vento che soffia dalla Francia, e che sa di Maigret. Italianissimo, invece, è il mezzo di trasporto del commissario: una vecchia bicicletta da corsa Bianchi, verde acquamarina, ereditata dal padre.
«E il morto?», si chiederanno a questo punto i lettori. Il morto è una morta, Marta Innocenzi, trovata con la corda al collo nel capannone dell'azienda di famiglia, che produce yacht. Anzi, che produceva: il padre, un armatore fallito, le ha ceduto l'attività un giorno prima che l'impresa colasse a picco. Tutto sembra alludere al suicidio? Neanche per idea: la corda dell'impiccata è composta da alcune strisce di seta, legate in un nodo che i marinai del porto, subito consultati dal commissario, non saprebbero riprodurre. Il padre della suicida, poi, l'ingegner Innocenzi, non sembra certo sotto choc: i soldi per pagare gli operai, che non prendono lo stipendio da mesi, mancano, non invece il denaro per tenere aperto il villone versiliano dove lo va a trovare Santini. L'ingegnere ha appena terminato di fare jogging, ha un asciugamano buttato sul collo nonché una giovane amante ispanica che si affaccia dalle scale per chiedere se il signore venuto a trovarci resta per il pranzo. Altre figure reticenti suggeriscono l'ipotesi dell'omicidio: a cominciare dal direttore di banca che ha messo le mani sull'azienda non appena l'ingegnere non è stato più in grado di onorarne i prestiti; e dal vedovo di Marta, professore di giapponese ed esperto di shibari, un'arte che nasce nel Giappone del XVI secolo quando le gheishe cominciano a legarsi fra di loro con sottili funi di seta, servendosi di nodi sempre più complicati ed intricati, e ad essere ritratte, così intrappolate, dai grandi artisti del tempo. Anche il guinzaglio del molosso di Marta, che adesso appartiene a una sua amica italo-croata, è allacciato all'orientale...
Va da sé che poco più di duecento pagine il commissario Santini dovrà sciogliere ogni garbuglio; perché tutti i nodi, assicura la saggezza popolare, prima o poi vengono al pettine. «Purché ci sia un pettine», avrebbe aggiunto Leonardo Sciascia, uno che di romanzi gialli se ne intendeva.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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