"La vittoria non sarà mutilata"

Pubblichiamo, per gentile concessione del curatore, un estratto di La sola ragione di vivere. D'annunzio, la Carta del Carnaro e l’Esercito Liberatore (Passaggio al Bosco)

"La vittoria non sarà mutilata"

Per evitare la perdita di Fiume e di parte della Dalmazia, Gabriele D’Annunzio e i suoi legionari, appoggiati da influenti ambienti politici e militari, mossero avventurosamente verso Fiume. Il corpo di spedizione interalleato si ritirò in maniera tale da evitare scontri pericolosi con le forze dannunziane, mentre il Consiglio Nazionale Italiano di Fiume fu riconfermato nelle sue funzioni fino alla proclamazione della Reggenza Italiana del Carnaro, avvenuta l’8 settembre 1920. L’Impresa dannunziana era al suo nascere; un’azione armata che sorgeva, principalmente, dall’insoddisfazione per determinate questioni territoriali e di confine tra italiani e jugoslavi rimaste irrisolte dopo il primo conflitto mondiale.

“Vittoria nostra, non sarai mutilata”. Con questa frase, pubblicata sulle colonne del Corriere della Sera (24 Ottobre 1918), Gabriele D’Annunzio denunciò in versi poetici la grave situazione che si stava venendo a creare poco prima della conclusione del conflitto mondiale:

63. Vittoria nostra, non sarai mutilata.
Nessuno può frangerti i ginocchi
né tarparti le penne. Dove corri? dove sali?
64. La tua corsa è di là dalla notte.
Il tuo volo è di là dall’aurora.
Quel che in Dio fu detto è ridetto:
“I cieli sono men vasti delle tue ali”.

(La preghiera di Sernaglia, 1918)

Effettivamente, intorno al poeta soldato andò formandosi un’opinione pubblica sempre più favorevole a difendere i diritti dell’Italia in Adriatico orientale. Nell’ultimo anno di guerra l’Italia aveva particolarmente contribuito alla vittoria finale. Basti ricordare che, nel marzo del 1918, sul fronte francese la pressione tedesca era così pesante da ricacciare indietro gli alleati fino a Cluny; oltre a contribuire al successo ottenuto nella battaglia di Bligny (luglio 1918), gli italiani vincevano sul Piave, dando subito modo agli eserciti americano e francese di riorganizzarsi e avanzare fino a Chateau Thierry. Non solo, in Macedonia l’ala sinistra degli eserciti alleati era composta da soldati italiani che non cedettero mai un centimetro di terreno di fronte all’esercito turco, permettendo alle truppe franco-serbe di avanzare vittoriosamente.

Nonostante il considerevole sforzo bellico italiano, il Presidente statunitense Thomas Woodraw Wilson continuava a non riconoscere i trattati segreti stipulati prima dell’intervento americano (avvenuto solo nel 1917). Pertanto si addivenne, il 10 settembre 1919, alla stipula del Trattato di Saint Germaine en Laye che faceva parte dei preaccordi parigini, con il quale la futura Jugoslavia avrebbe molto probabilmente ottenuto la Dalmazia (a parte Zara e l’isola di Lagosta) e una seria ipoteca su Fiume. L’umiliazione inferta all’Italia non finiva qui. Il ministro francese Clemenceau e quello inglese LLoyd George fecero in modo di non far riconoscere all’Italia alcun vantaggio territoriale nemmeno in ambito coloniale. Basti pensare che al Belgio, ininfluente nelle sorti della prima guerra mondiale, furono addirittura concessi vastissimi riconoscimenti territoriali in Congo; inoltre, alla Francia furono attribuiti territori che andavano ben oltre gli scopi della guerra, permettendole di assorbire grandi masse di popolazioni germanofone presenti in Alsazia e in Lorena. Non solo, la Germania fu penalizzata nell’est Europa, dove alla Cecoslovacchia veniva concessa, oltre al territorio dei Sudeti popolato da un’incontestabile maggioranza tedesca, una gran parte della Boemia tedesca. Bisogna anche rilevare che l’accettazione da parte di molti popoli del concetto di autodeterminazione promosso dal presidente statunitense Wilson fu l’inizio della fine degli imperi centrali e di quello turco, ma provocò nuove crisi anche negli imperi francese e britannico. L’autodeterminazione è in parte la ragione per cui così tante nazioni si formarono nell’Europa Orientale e nel Medioriente.

L’interesse geopolitico americano era, in quel periodo, quello di non incrementare oltre una certa misura le dimensioni della Gran Bretagna, della Francia o dell’Italia. L’Italia, a conti fatti, si trovava a dover elemosinare una città come Fiume o i centri dalmati di Zara, Sebenico e Traù, in cui l’italianità era secolarmente presente e maggioritaria, per far spazio a croati e sloveni, che in definitiva erano gli sconfitti poiché avevano combattuto fino all’ultimo con l’Austria-Ungheria. Appariva chiaro che gli inglesi e i francesi, col beneplacito statunitense, volevano limitare la posizione geopolitica italiana in Adriatico attraverso la creazione artificiosa di un forte Stato slavo del sud sottoposto alla loro influenza. Col passare del tempo e con lo stallo diplomatico creatosi alla Conferenza della Pace di Parigi, la frustrazione di gran parte dell’opinione pubblica italiana aumentò. Ben presto si fece sentire tumultuosamente il mondo degli ex combattenti a favore delle estensioni territoriali italiane in Adriatico, ma le masse socialiste-rivoluzionarie, guidate da Bissolati e da Gramsci, erano fortemente contrarie agli ampliamenti territoriali italiani, preconizzando future amicizie e collaborazioni con le popolazioni slave (mai verificatesi fino ad oggi), per capitalizzare in altro modo gli immensi sacrifici patiti dalla nazione italiana nella Grande Guerra. Il tradizionale divisionismo italiano contribuì indubbiamente a favorire gli scopi delle potenze straniere.

Attorno a D’Annunzio andò, in ogni caso, sempre più coagulandosi un’opinione pubblica tesa a difendere i diritti dell’Italia in Adriatico orientale. Un ruolo piuttosto importante a sostegno delle richieste territoriali italiane iniziò a svolgerlo anche una parte influente della Massoneria italiana.

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