Le volonterose carnefici agli ordini del Führer

Il saggio della storica Wendy Lower rivela i misfatti delle donne tedesche che aderirono al regime di Hitler

Le volonterose carnefici agli ordini del Führer

Per lo più bionde e non truccate, figlie di un culto del corpo salutista che non tollerava alcuna imperfezione fisica o mentale. Educate alla subordinazione. Eppure desiderose di ritagliarsi un ruolo, magari fuggendo nell'Est sconfinato dove il compito degli ariani era sterminare i subumani. Un ruolo che non fosse solo quello di madri e fattrici della «razza padrona». A volte confuse, trascinate nel gorgo della violenza per pura mancanza di volontà. Altre volte scientificamente e fanaticamente disposte a sporcarsi le mani di persona, a condividere il gusto della strage.
Questo è il fulcro prospettico del ritratto collettivo, intitolato Le furie di Hitler, che Wendy Lower traccia per i tipi di Rizzoli (pagg. 340, euro 22). La Lower, storica americana che insegna al Claremont McKenna College in California e alla Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera, ha usato una gran massa di documenti inediti (alcuni dei quali provenienti dagli archivi russi) o comunque trascurati per ricostruire le vicende delle donne che hanno servito il Terzo Reich, a volte macchiandosi di crimini orribili. Il suo saggio getta così una luce nuova su uno degli aspetti più trascurati del nazismo e dell'Olocausto: la partecipazione delle donne tedesche alla ascesa, alle efferatezze, e alla caduta del nazionalsocialismo.
Per decenni questo è stato un argomento tabù, per moltissimi motivi. In primis il fatto che le donne erano state uno dei simboli della Germania nuova, denazificata, le meno coinvolte in apparenza dal regime, quasi delle vittime. Per di più gli stessi nazisti avevano molto insistito sulla superiorità del maschio e sul ruolo casalingo della donna. Quindi assolverle da ogni responsabilità era un modo semplice per dare delle «radici» accettabili al nuovo, di fingere che i nazisti fossero solo una violenta minoranza, rimasta estranea alle case tedesche.
Ma la verità dei fatti, a partire dai documenti utilizzati dalla Lower, appare diversissima. Sotto la pressione della guerra le donne vennero sempre più coinvolte nell'attività del regime. Solo in Polonia le donne coinvolte nella amministrazione dei territori occupati furono almeno 19mila. Spesso contribuivano a stilare le liste dei prigionieri che venivano deportati. E il loro non era sempre e soltanto un ruolo tecnico. Ad esempio partecipavano attivamente al rapimento dei bambini ritenuti geneticamente ariani (spesso accompagnato dalla soppressione dei genitori) e alla loro ricollocazione in famiglie nazional socialiste. Non si è mai riusciti a fare una stima precisa del fenomeno, ma si parla di numeri che oscillano tra i 50mila e i 200mila casi. Molte, soprattutto nell'ambito dell'amministrazione dei territori russi occupati, misero materialmente mano alle liste di «selezione» degli ebrei.
Ad esempio Liselotte Meier, amante e segretaria di Herman Hanweg commissario del distretto di Lida (Bielorussia). Era lei che teneva nel cassetto il timbro che identificava i lavoratori utili. Fece uccidere moltissimi ebrei che considerava «Dreck» (spazzatura) ma salvò ripetutamente il suo parrucchiere. La sua collega, la segretaria Erna Reichmann, invece fermò una colonna di 2mila ebrei che dovevano essere fucilati. Lei aveva compilato le liste ma c'era stato un errore: «La Reichmann vide una donna ebrea che non aveva ancora finito il maglione che doveva farle ai ferri, perciò la fece uscire dalla fila». E moltissime donne ebbero un ruolo sempre più attivo anche nella Gestapo. O uccisero direttamente come Erna Petri, moglie di un ufficiale delle SS. Ecco la sua agghiacciante testimonianza: «Vivevo solo per mio marito, che faceva parte delle SS ed eseguiva le fucilazioni di ebrei... Non volevo stare indietro rispetto agli uomini delle SS. Volevo provare loro che, come donna, potevo comportarmi come un uomo. Perciò ammazzai quattro ebrei, e sei bambini ebrei».
E come documenta bene la Lower proprio il desiderio di emergere caratterizzò molte delle «furie di Hitler». «Durante l'epoca nazista, i desideri emotivi, i bisogni materiali e le ambizioni professionali delle donne tedesche determinavano la vita e la morte di un ebreo». Insomma la geniale intuizione di Hannah Arendt sulla banalità del male in questo saggio assume una forma terribilmente femminile. Una forma che sfuggì agli inquirenti dopo la guerra. Pochissime vennero processate e giudicate colpevoli.

Anche perché a volte il male si annidava dove nessuno si è preso la briga di guardare. Quante maestre tedesche hanno denunciato i bambini che nelle loro classi non rispettavano i criteri razziali? Secondo la Lower moltissime.

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