D’Alema apre al confronto e si smarca da Prodi

Gianni Pennacchi

nostro inviato a New York

Quando se ne va, prega gentilmente di non titolare «D’Alema è favorevole alla riforma elettorale»: più che una forzatura irragionevole sarebbe una carognata, spiega con un sorriso che non è più il ghigno di un tempo. Però l’apertura c’è ugualmente, e non va affatto nella direzione invocata da Casini: semmai, potrebbe gioirne Berlusconi. È il premier infatti, che in questo tormentone che si dipana tra Roma e New York ricorda sempre come in verità Forza Italia, dipendesse da lei, s’accontenterebbe di «piccoli miglioramenti» alla legge elettorale in vigore. Ma è possibile che non si possa eliminare di comune accordo, almeno lo scorporo? E Massimo D’Alema risponde: «Sì, almeno eliminare lo scorporo sarebbe giusto. Il problema è che per fare una cosa di questo genere bisogna trovarsi tra persone normali, e non esporsi al rischio che poi qualcuno presenti un emendamento allo scorporo che stabilisce invece che si vota col sistema cinese. Ci vorrebbe un accordo... Io ho sempre pensato che quello dello scorporo sia un pasticcio, perché dà luogo a imbrogli, aggiramenti, storie. Sarebbe ragionevole eliminarlo. Ma per fare accordi ragionevoli bisogna essere tra persone ragionevoli: cosa della quale, diciamo che è lecito dubitare. Può darsi che io mi sbagli, anzi spero di sbagliarmi...».
E questa è la ciliegia che ieri ha coronato la conferenza stampa congiunta di Romano Prodi e Massimo D’Alema, ambedue sul piede di lasciar l’America dopo due giorni di Clinton global initiative. Conferenza stampa sul marciapiede dello Sheraton, tra colpi di clacson e accelerate d’autobus, spintoni infastiditi della folla newyorkese a mezzogiorno, solito e italianissimo arrembaggio dei media.
Ma così han voluto le telecamere Rai - «potenza della tv», sospira D’Alema - perché nell’albergo «c’è poca luce» e perché «così si vede che siamo a New York». Sì, alla rifondazione dell’Ulivo mondiale. Prodi dice che «qui comincia l’unità», non solo del centrosinistra nostrano ma di quello planetario, perché han discusso di «povertà del mondo, tensioni religiose, energia ed equilibrio della Terra»: dopo due giorni «la grande coalizione si comincia a ricucire nel mondo».
Pure D’Alema dice che di fronte al «sostanziale fallimento» dell’Assemblea generale dell’Onu, il rimettersi in movimento «di un dialogo e di un impegno comune dei democratici e dei progressisti», è un fatto «molto importante».
Però i giornalisti vogliono sapere della legge elettorale, dunque Prodi torna a ribadire il suo niet e spiega che l’unità dell’Unione su questo fronte non è tattica, anzi è il segno «di una unità che si farà sempre più salda con la definizione del programma di governo e poi della squadra». D’Alema appare più misurato, spiega che il dibattito sulla legge elettorale «non è maturo: non ci sono idee convergenti, neppure tra i proponenti», dunque è «inutile». Almeno allo stato attuale delle cose, ovviamente.
Se D’Alema sia cambiato? Pare di sì, lo dicono i giornalisti che lo seguono e l’osservano con attenzione, e lo ammette pure lui, senza arroganza né distacco. Come se i casi della vita, e ancor più della politica, lo avessero umanizzato, stemperando la pulsione irrefrenabile alle battute velenose. «Anche perché tutto quel che dico lo pago sempre, direttamente e subito», sorride.
Insomma, a differenza di Prodi che monta di volume egoico ogni giorno che avvicina le elezioni, D’Alema par divenire una persona normale.

La riprova, se volete, sgorga al termine di questa stralunata conferenza stampa, quando una fotografa gli si è avvicinata chiedendogli una posa «col signor Prodi sullo sfondo dei grattacieli». Lui ha accettato sorridendo: «Sì, come Totò e De Filippo». E mentre s’avviava verso Prodi che attendeva impettito, D’Alema mormorò: «Nojo volevon savuar».

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