D’Alema costretto al mea culpa Tiro al bersaglio su Bersani

RomaIl giorno dopo lo scossone pugliese, la fotografia più impietosa per il Pd la scatta con sarcasmo Pierluigi Castagnetti. «Non c’è bisogno di essere grandi analisti politici per capire come è andata - dice sornione a chi gli chiede delle primarie vinte da Vendola - è lampante: i dirigenti del Pd stavano tutti da una parte, gli elettori tutti dall’altra».
Conti alla mano, l’analisi dell’ex segretario del Ppi non è così lontana dalla realtà: quel 32,8 per cento andato al candidato del Pd, Francesco Boccia, contro il 67,2 per cento dei voti rovesciatosi su Nichi Vendola lo testimonia. E lo stesso Massimo D’Alema, ragionando con i suoi, ieri lo riconosceva: «Non abbiamo capito che c’era un distacco tra la nostra proposta e i cittadini pugliesi». Lo dice anche pubblicamente, nella breve nota scritta da cui si fa precedere alla riunione di direzione Pd: «Non siamo riusciti a rendere chiaro ai nostri elettori la portata del confronto, e di ciò avverto anche io la mia parte di responsabilità». Ora, conclude D’Alema, il Pd deve «ritrovare la sua unità» e lavorare «lealmente» per Vendola.
A lenire un po’ una sconfitta che brucia assai ci prova Casini, che ringrazia D’Alema (e Boccia) e attacca a testa bassa i suoi nemici, «quegli esponenti del Pd che oggi mi rivolgono ipocriti appelli: se li risparmino, e riflettano su quel che determinerà la loro scelta». La scelta di far perdere Boccia e dunque D’Alema, e di far sfumare l’alleanza con l’Udc. Che però, candidando la Poli Bortone, dà comunque una mano non da poco al centrosinistra.
Come previsto, alla Direzione Pd di ieri non c’è stata nessuna resa dei conti. E tutti i big sono rimasti zitti. «Siamo persone per bene, aspettiamo le regionali», dice il braccio destro di Franceschini, Francesco Garofani. Non ha parlato D’Alema, Veltroni non c’era, non hanno parlato né Franceschini né Enrico Letta, né Nicola Latorre né Rosi Bindi. La quale, però, aveva già detto la sua nella sede più appropriata: un’intervista a Repubblica nella quale, dopo la batosta, prende elegantemente le distanze dalla maggioranza interna di cui fa parte e rimprovera di non aver scelto subito Vendola. Una nuova cannonata sul quartier generale che fa dire a un irritato colonnello bersaniano: «Rosi si sta posizionando per diventare la nuova candidata leader di Repubblica, con l’appoggio di chi ha perso il congresso».
È toccato al segretario Bersani, nella sua relazione, difendere le posizioni e assicurare che la linea non cambia: «Il Pd non è nella riserva indiana, siamo competitivi e ce la giocheremo». E assumersi «una parte della responsabilità» di quanto è avvenuto in Puglia. La batosta Bersani se la aspettava eccome, da quando giovedì scorso, chiamato in Puglia per sostenere Boccia con un comizio, il segretario del Pd si era trovato davanti ad una sala semivuota.

Ora la questione più urgente è chiudere le partite ancora aperte: Umbria, Campania e Calabria. Tutte teatro di scontri fratricidi interni al Pd, cresciuti all’ombra, secondo l’ex pd Enzo Carra, «di quel grande odio tra D’Alema e Veltroni che detta da 15 anni l’agenda del centrosinistra».

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