D’Alema delude l’estrema sinistra «Nessun ritiro dall’Afghanistan»

Raffaela Scaglietta

da Roma

Se Osama Bin Laden è, come sembra, resuscitato. Se il Newsweek ha schiaffato un talebano in prima pagina con il Kalashnikov puntato sul mondo. Se la Nato ha deciso ieri, in Slovenia, di prendere sotto il suo comando altri 10mila soldati americani e includerli come forze Isaf, dispiegandoli su tutto il territorio afghano, per coprire meglio la zona a sud est, martoriata da violente rivolte, l’affare afghano è tuttora un affare serio e, come ha detto il generale americano Jim Jones davanti al Congresso statunitense, è sulla buona strada per diventare un’altro «narco-stato». Un ritiro delle nostre forze è impensabile.
«Non prevediamo allo stato nessuna rimodulazione» del contingente in Afghanistan, ha confermato ieri il ministro degli Esteri Massimo D’Alema, all’indomani del rientro in Italia della salma del caporal maggiore Gorgio Langella, ucciso a Kabul. «Non vi saranno cambiamenti nel numero dei soldati della missione, sosteniamo il governo democratico di Karzai» ha aggiunto il vicepremier D’Alema al termine di un incontro con il ministro degli Esteri australiano Alexander Dowen, a Roma per una visita ufficiale.
Del resto, ha continuato D’Alema, «abbiamo confermato in sede del consiglio atlantico l’impegno del nostro Paese che si concentra in particolare a Kabul e Herat e intendiamo portare avanti gli impegni che abbiamo con la Nato». La Nato opera in Afghanistan con la missione Isaf (forza di assistenza per la sicurezza internazionale) con 20mila soldati formata da 37 Paesi diversi che controllano la capitale Kabul, il nord, l’ovest e il sud del Paese. Ma la zona che preoccupa e che ha permesso ai talibani di ricostruire le proprie forze, di riarmarsi e di ritornare guerriera grazie al traffico di oppio è proprio il «Jihadistan», al confine con il Pakistan. Una zona che gli inglesi già al tempo della colonizzazione, nel 1893, non riuscirono mai a controllare.
Ieri i ministri della Difesa della Nato hanno deciso di rinforzare la loro macchina operativa e 10mila soldati Usa che tuttora operano nella missione Enduring Freedom (Oef) passeranno sotto il comando Nato, mentre altri soldati si occuperanno di combattere e uccidere i capi-talebani in rivolta. «Gli alleati devono fare un ulteriore passo in avanti per rispettare l’impegno collettivo per appoggiare il governo e la gente in Afghanistan» ha detto il segretario britannico della Difesa Des Browne poco prima della riunione Nato. Quasi 140 soldati stranieri, la maggior parte americani, britannici e canadesi, sono stati uccisi durante le operazioni dal mese di gennaio.

«Sul piano economico e sulla cooperazione ci sforziamo di garantire stabilità a progresso, in una sfida difficile, la cui difficoltà si evince anche in questi giorni in cui il nostro Paese è colpito dal lutto per il soldato ucciso e il ferimento di altri militari» ha aggiunto il responsabile della Farnesina, circondato da chi a Roma (Verdi, Pdci e Rifondazione) chiede invece il ritiro delle truppe italiane. «Le continue dichiarazioni di esponenti del governo sulla possibilità di ritirare i militari costituiscono un incoraggiamento al terrorismo» ha detto Maurizio Gasparri di An.

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