D’Alema disfa subito le valigie: è già pronto a rifare il ministro

Il responsabile degli Esteri convinto a non lasciare nell’ipotesi di un Prodi-bis Polemica tra Dini e Rifondazione

D’Alema disfa subito le valigie: è già pronto a rifare il ministro

Roma - La tentazione di non far parte del governo è durata fino a quando si è parlato di un Prodi bis o di un rimpasto. Ma di fronte all’ipotesi di un governo fotocopia o di un rinvio alle camere dello stesso esecutivo dimissionario, Massimo D’Alema ha legato il suo destino politico a quello degli altri ministri. E accettato, implicitamente, di restare parte della vecchia compagnia. Per il day after della bocciatura al Senato, il ministro degli Esteri ha scelto un profilo molto basso. Gli è toccato anche schivare la consegna dell’Oscar Riformista come politico dell’anno che per una crudele coincidenza è caduta proprio dopo la bocciatura di Palazzo Madama. «Naturalmente, accetto volentieri l’Oscar, ma certo devo confessare che avrei preferito l’oscar del Senato», ha ironizzato in un messaggio rivolto al quotidiano Il Rifomista, con il quale ha accettato il premio («un conforto consolante») e ha difeso la sua politica fatta di «multilateralismo», «integrazione europea» e «promozione della pace in Medio Oriente».
Poi ha concentrato la sua attività negli affari correnti della Farnesina, lasciando da parte il più possibile la politica. Nella sua agenda l’incontro con il segretario generale dell’Ocse Angel Gurria e un altro con il ministro degli Esteri di Gibuti, Mahmoud Ali Youssuf con il quale ha parlato di crisi somala.
Per trovare segnali di movimento di area dalemiana legati alla crisi italiana ieri bisognava affidarsi al fedele Nicola La Torre che però si è limitato a smentire le voci su dissapori con Romano Prodi. Tra i due c’è «sintonia completa», ha assicurato il senatore. Altra fonte è la Velina rossa, nota politica di Pasquale Laurito vicina agli umori dell’ex premier ds, che ieri ha dedicato un numero alle difficoltà della crisi. Difficile, secondo la Velina, pensare a un rinvio alle Camere del governo ancora in carica. «Gratuiti» gli sforzi «che si fanno per attirare qualche esponente del centrodestra verso la maggioranza per avere i voti indispensabili al Senato. In realtà - sottolinea la Velina Rossa - la cosa vera è che non si sa come chiudere la stalla per evitare che tutti i buoi scappino». Pollice verso per quei «responsabili di primo piano del partito della Quercia» come «il coordinatore dei Ds» che «dice che si possono raccogliere i consensi di singoli uomini politici della Casa delle libertà. In occasioni come queste pensiamo che sarebbe meglio tornare al vecchio stile del Pci: non abbiamo mai sentito affermazioni di questo genere da vicesegretari del partito come Secchia, Longo e Berlinguer, anche se erano maestri nel trattare le questioni più difficili, persino con la Santa Sede, anche se ufficialmente scomunicati». Pura realpolitik dalemiana.
Nessun segnale da parte dell’ex leader dei riformisti Ds nemmeno sul fronte interno al centrosinistra. Facile in questa fase finire sulla graticola, come è successo a Lamberto Dini nel corso dell’assemblea del gruppo dell’Ulivo al Senato.

L’esponente della Margherita è stato contestato da un gruppo di senatori, per avere richiamato il partito di Fausto Bertinotti alle sue responsabilità. «Bisogna chiederlo a Rifondazione perché siamo arrivati a questo punto», ha detto l’ex premier. «Bisogna chiederlo anche a te», gli hanno urlato in risposta, i senatori della sinistra radicale.

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