Ibiza - Sul tavolo del vertice italo-spagnolo ci sono dossier di peso, dall’immigrazione al rilancio della Costituzione europea, al rapporto con il Nord Africa fino alla promozione della dieta mediterranea. Ma quando Romano Prodi sale sul podio della conferenza stampa conclusiva, al fianco dell’ospite José Luis Zapatero, si capisce che i suoi pensieri sono quasi monopolizzati da Fosco Giannini e Franco Turigliatto. Ossia dalla prova di oggi al Senato, quando il suo governo dovrà dimostrare di avere una maggioranza autosufficiente sulla politica estera.
Anche perché se all’appello non ci saranno tutti i voti dell’Unione, come ha tenuto a ricordare il ministro degli Esteri D’Alema, si va «a casa»: «È un principio costituzionale, se volete vi mando il testo, è breve ma interessante», offre con la consueta cortesia ai giornalisti che lo interpellano. Così, è all’ala sinistra della sua coalizione che parla Prodi da Ibiza, sotto lo sguardo benevolo di Zapatero. Spiega il premier che sulla questione più spinosa, la missione in Afghanistan, «noi e la Spagna siamo fianco a fianco: manteniamo le truppe e le aree di responsabilità che abbiamo ma siamo anche preoccupati di trovare un sbocco politico, perché non può essere un conflitto senza fine».
Il ministro prc Ferrero applaude: «Un messaggio nella giusta direzione». Zapatero non conferma e non smentisce, sulla questione si astiene dal dire una sola sillaba, e si limita a fissare lo sguardo azzurro nel vuoto quando il premier italiano tira fuori il pezzo forte della sua strategia di recupero dei senatori dissidenti, la conferenza di pace sull’Afghanistan al cui tavolo, spiega (e Zapatero evita di muovere un solo muscolo facciale), dovrebbero sedere «tutti i Paesi confinanti, India e Pakistan e Iran e gli altri», e che l’Italia si sta impegnando a «preparare».
Qui il vertice delle Baleari diventa palcoscenico di un singolare balletto di rivalità tra il premier e il suo vice: solo due giorni fa, D’Alema aveva lasciato trapelare attraverso giornali amici (Repubblica e Unità) che lui a quella conferenza di pace non crede molto, che è «un seme che non germoglierà», una proposta di pura «testimonianza» posto che gli interlocutori internazionali che contano (gli Usa e lo stesso Karzai in primo luogo) non la ritengono praticabile. E ha lanciato un’altra idea (sempre per riconquistare Turigliatto & Co): un impegno dell’Italia nel Consiglio di sicurezza Onu per «rimodulare» la missione afghana e ridimensionarne l’impatto militare.
Peccato che, quando l’ipotesi viene sottoposta a Prodi in conferenza stampa, il premier la liquidi bruscamente. «È una questione di cui non abbiamo assolutamente parlato, qui abbiamo discusso di cose leggermente più importanti, di come arrivare alla pace in Afghanistan». Piuttosto, dice Prodi indicando il suo ministro degli Esteri seduto immobile a sinistra del palco, «D’Alema qui può testimoniare che la proposta di un’eventuale conferenza di pace, accolta all’inizio con freddezza, ora viene vista con sempre maggiore serietà, anche da Karzai». D’Alema sussurra qualcosa al suo vicino, il ministro dell’Agricoltura De Castro, poi si prende il viso tra le mani e resta così. Più tardi se la prenderà coi soliti giornalisti, «ho letto grandi esercizi letterari su quel che avrei detto e pensato, se ci fosse un Ordine dei giornalisti chi scrive queste cose dovrebbe cambiare mestiere». E il voto di domani la preoccupa?, gli chiedono: «No, personalmente il problema non mi tocca. Comunque penso e spero che i voti ci saranno, non ho interpellato alcuno né avuto contatti su questo». Lui, assicura, si limiterà a «illustrare le linee generali della politica estera italiana», senza tirar fuori «alcun coniglio dal cappello». E della base di Vicenza parlerà? «Vicenza non riguarda la politica estera, c’è qui il ministro della Difesa e potete chiedere a lui», dice indicando Parisi.
D’altronde D’Alema ha preso un preciso impegno con la sinistra radicale, perché il fantasma di Vicenza non venga evocato oggi in Senato.
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