Dai «coglioni» alle «checche», il turpiloquio è bipartisan

Dal longobardo strunz (e non scomodiamo Trapattoni): sterco. L’exploit di Fini è solo la poco invitante ciliegina sulla torta della politica volgare. Una replica di quanto si era dovuta sorbire la ministro Meloni giorni fa, appellata come «mini-stronza» da un vignettista. Lontani i tempi di De Gasperi che definiva Togliatti «agnello con piede caprino». Ormai si veleggia nel turpiloquio spinto. Storica fu la boutade di Berlusconi nel 2006: «Non posso credere che gli italiani siano così coglioni da votare Prodi». Offesa più cruda di quella che riservò al socialista tedesco Schulz, definito «kapò» o quella a certi giornalisti «farabutti». Roba da educanda se paragonata a quanto disse il senatore di An Nino Strano al collega dell’Udeur Cusumano: «Checca squallida, cesso corroso, merda». Un trionfo. A destra anche altri maestri di cerimonia: da Bossi che definì Miglio «una scorreggia nello spazio» a Previti che diede del «pezzo di merda» a Bonito; dalla Santanchè che criticò gli aennini «palle di velluto» a Brunetta che attaccò le «élite di merda», fino a Tremonti che definì Prodi «demente» e Visco «gangster contabile». Peccato poi che Storace abbia smentito: la leggenda sul fatto che a chi gli chiedeva di dire qualcosa di destra lui avesse risposto «’a frociii!» sarebbe stata epica.
Epperò non è che l’opposizione si tiri indietro. Per esempio, D’Alema bollò lo stesso Brunetta come un «energumeno tascabile», concetto offensivo ma non volgare. Meno elegante Casini, che parlando dei direttori di tg stigmatizzò la loro presunta partigianeria: «Sono a pecora sul governo». Non male. Anche Prodi ebbe modo di replicare a chi lo attaccava, dando a Tremonti del «delinquente». Simpatico anche il comunista italiano Diliberto, che suonò la carica: «Dobbiamo dire quanto ci fa schifo Berlusconi». Dica, dica. Magari come fa ogni giorno Di Pietro, che tra un paragone coi nazisti e uno con i dittatori sudamericani, ha trovato il tempo anche di etichettare il premier come un «magnaccia».

Filone proficuo, quello delle offese a sfondo sessuale, e che ha nel Cavaliere e in alcune ministre le sue vittime preferite: cominciò Guzzanti padre coniando il termine «mignottocrazia», proseguì la figlia Sabrina dicendo che la Carfagna era diventata ministro per irripetibili meriti sessuali. Lo diceva Nanni Moretti: «Andiamo avanti così... Facciamoci del male».

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