Cultura e Spettacoli

Dai «comizi infantili» c'è tanto da imparare

L'idea di partenza è semplice ma buona: in un mondo in cui tanti adulti si occupano dei bambini e dei loro problemi veri o presunti, e spesso parlano a loro nome ma senza mai interpellarli, ecco un documentario che li pone finalmente al centro dell'attenzione e li interroga senza filtri, in modo diretto, fa loro raccontare sogni e paure, li stimola a spiegarci il loro punto di vista sul mondo e sulla vita. Il programma si intitola Comizi infantili (giovedì su Raitre, ore 23,30), è firmato da Stefano Consiglio e patrocinato dall'Unicef, frutto di una serie di incontri in diverse scuole italiane interrogando alunni compresi tra i dieci e i i tredici anni, un'età sospesa tra la postinfanzia e la preadolescenza. L'altra sera si è vista la prima parte e mercoledì prossimo andrà in onda la seconda, che mi permetto di consigliare per un paio almeno di motivi. Innanzitutto per l'atmosfera di estrema freschezza che si respira, per l'immediatezza delle risposte, per l'alternanza di momenti di riflessione e di divertimento che il linguaggio degli interpellati, a quell'età, è sempre in grado di offrire e che ci regala una boccata di ossigeno rispetto ai percorsi ormai meccanicamente prevedibili dei pensieri adulti, specie quelli veicolati attraverso i talk show in cui senti ripetere da anni, più o meno, gli stessi discorsi e i medesimi concetti e le solite opinioni fritte e rifritte a seconda dell'argomento trattato. Qui no, per fortuna si riesce ad avere la sorpresa di qualche risposta inaspettata, e ci si commuove o ci si diverte o si prende semplicemente atto delle osservazioni dei piccoli intervistati, del loro punto di vista, senza avere la sensazione che l'indagine sia stata adulterata (ecco non a caso un aggettivo che richiama, etimologicamente, i pasticci del mondo adulto) al fine di avere a tutti i costi delle frasi ad effetto. Qualche volta capita di vedere, in televisione, dei siparietti in cui i bambini sono protagonisti ma hai la netta e brutta sensazione che vengano chiamati lì per divertire noi adulti, e che alla base vi sia quindi una forzatura e in qualche caso persino una strumentalizzazione. Qui non si corre questo sospetto, ed è un buon segno. Le domande sono divise per argomento: si passa dalla scuola alla religione, dal sesso ai soldi, dal narcisismo alla gioia, dalla guerra al razzismo, dai legami familiari al desiderio di diventare grandi, e le risposte offrono un campionario impossibile da riassumere ma assai vario e curioso. Un punto comune? Il modo deciso e a tratti persino sconcertato con cui gli intervistati scuotevano la testa quando si chiedeva loro se credevano alla cicogna. Un atteggiamento che ha costretto l'ingenuo intervistatore a battere in ritirata e cambiare presto argomento. Sono i rischi che si corrono quando si smette di parlare dei bambini, e si comincia a parlare con i bambini.

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