Dal geroglifico all'emoticon, e ritorno. La civiltà è fatta di scrittura (idee raccontate attraverso simboli) e capire come sta cambiando la nostra scrittura è uno dei modi per riuscire a capire dove stiamo andando, il nostro futuro. Se ne occupa in maniera estesa e multidisciplinare l'italianista Massimo Arcangeli nel suo ultimo libro: La solitudine del punto esclamativo (il Saggiatore, pagg. 334, euro 19).
DAI DISEGNINI AGLI ALFABETI Arcangeli parte dalla storia dei nostri moderni alfabeti spiegando come ad un certo punto gli ideogrammi si siano trasformati in lettere. Come spiega al Giornale: «Prendiamo la lettera A che nei primi alfabeti fenici era Aleph. All'inizio era scritta alla rovescia e altro non era che la testa stilizzata di un bue. E il suono A altro non era che quello iniziale della parola Aleph che significa bue. È stato così per moltissime altre lettere. La C in ebraico e fenicio si chiamava Gimel il cammello è Gamal. La C è la gobba del cammello girata. All'inizio della creazione di un alfabeto è facilissimo, anche se non obbligatorio che degli ideogrammi si trasformino in lettere».
LA RIVINCITA DEI GEROGLIFICI Ma se queste sono le origini adesso si sta assistendo a un ritorno al passato con gli emoticon o emoji. La possibilità di comunicare con nuovi ideogrammi facilissimi da disegnare sta cambiando il nostro modo di comunicare e non è dato capire quanto. Perché? Secondo Arcangeli: «Stiamo tornando ad una realtà più visiva. Nella nostra epoca il visivo prevale sul sonoro. Stiamo passando da alfabeti con poco più di venti caratteri alla possibilità di disporre di una marea di simboli e di immagini ideografiche. Tanto per dire hanno realizzato una traduzione di Moby Dick in emoji e stanno lavorando a Pinocchio. Andiamo probabilmente verso un nuovo tipo di scrittura ibrida con delle regole nuove».
SENZA PUNTI E PUNTINI Tra le vittime del cambiamento anche la punteggiatura. E in effetti virgole, punti a capo e punti e virgola nella storia sono stati tutt'altro che una presenza costante. Arcangeli lo scrive chiaro e tondo che alcuni segni di interpunzione sono al loro minimo storico. E parlando con noi spiega: «La rivoluzione della stampa ha fatto in modo che si imponessero i segni di interpunzione come noi li conosciamo. In altre epoche non si usavano, almeno non allo stesso modo. Adesso alcuni stanno andando nel dimenticatoio. Ad esempio, per il punto e virgola è proprio un periodaccio. Ho intitolato il libro La solitudine del punto esclamativo perché mi sembra l'unico segno di interpunzione che goda di buona salute. Lo mettono dappertutto. E in parte nella comunicazione on line alcuni di questi segni stanno cambiando significato. Faccio un esempio personale. Scrivendo un messaggio a una mia amica l'ho chiuso con un punto. Cosa che abitualmente non faccio. Lei mi ha chiesto se ero arrabbiato. Io le ho spiegato che no, non lo ero e non capivo perché lei lo pensasse. Lei mi ha spiegato che quel punto messo lì alla fine del messaggio le era sembrato un segnale del fatto che fossi seccato. Ecco, il punto fermo nella messaggistica, dove non si usa molto, può assumere significati nuovi». Certo il rischio, senza punteggiatura, è di creare frasi ambigue. Nel suo volume Arcangeli fa un sacco di esempi nel testo. Come l'ambiguo e leggendario inganno che, secondo il cronista medievale Giovanni Villani, il diavolo ordì contro Provenzano Salvani. Interrogato prima della battaglia di Colle Val d'Elsa gli fornì il seguente responso: «Anderai e combatterai, vincerai no morrai alla battaglia e la tua testa fia la più alta del campo». Tutto sta a capire se va messa una virgola prima o dopo il no. Provenzano la mise prima e si sbagliò. Non vinse, morì in battaglia e la sua testa fu tagliata e alzata su una picca. Ecco, senza la punteggiatura si rischiano errori così o come quello famoso dell'abate Martino che perse la Cappa a causa della frase: «Porta patens esto. Nulli claudatur onesto». Se si scrive così vuol dire: «La porta rimanga aperta. Non si chiuda a nessuna persona onesta». Perfetta per un monastero accogliente. Se si sposta il punto però diventa: «La porta non si apra a nessuno. Sia chiusa all'onesto». Ovviamente è solo un gioco linguistico ma anche questo rende l'idea. Non parliamo poi di segni di interpunzione complicati come il punto e virgola comparso, nel senso attuale, nel De Aetna di Pietro Bembo. Quelli ormai sono praticamente estinti; la nostra epoca non ama le sfumature. Oltre ai punti e alle virgole, potrebbe lasciarci la pelle gran parte dei segni diacritici, ovvero quei simboli aggiunti a una lettera per modificarne la pronuncia o per distinguere il significato di parole simili - il termine deriva dal greco diakrìno, ovvero distinguere. Nell'italiano si usano poco ma in altre lingue erano fondamentali. «Il sistema in Francia si semplifica e probabilmente lo stesso percorso avverrà sul tedesco e sta avvenendo con la lingua portoghese. Ma non deve stupire, per noi mettere i puntini sulle i è una espressione idiomatica. Ma per lungo tempo la i si è scritta senza puntino».
QUANDO UNA «X» NON È UN «PER» Viene da chiedersi se tutti questi cambiamenti di scrittura (e non solo) finiranno con lo sfuggirci di mano. Arcangeli nel libro elenca alcuni esempi. Lo studente che scambia Malcolm X con Malcolm decimo, la leggenda metropolitana dell'altro studente che incontrando Nino Bixio lo legge Nino Biperio come se fosse una abbreviazione da sms. Arcangeli però non è troppo pessimista: «Questo è un momento di grande cambiamento. Dopo il cambiamento arriva sempre un tentativo di riordino. Secondo me è dietro l'angolo. Però spesso il cambiamento nasce dalla paura del nuovo e non sempre la paura è un buon punto di partenza. Chiaro che bisogna prevenire i fraintendimenti culturali stile Nino Biperio. Ma non bisogna essere troppo rigidi. Esistono i grammar nazi che imperversano in rete. Uno mi ha perseguitato per una settimana perché su facebook invece di scrivere È con l'accento l'ho scritta usando l'apostrofo. Questo tipo di reazione iper purista va evitata».
IL RECINTO PREISTORICO Del resto, per un carattere o un segno diacritico che se ne va, ci sono quei segni che tornano dopo aver passato un lungo periodo di quiescenza, dopo un percorso carsico che ne ha fatto quasi perdere la memoria. È il caso della chiocciola e ancor più del cancelletto ovvero # reso ormai universalmente famoso dal suo utilizzo nei tweet. La sua comparsa più antica è in funzione di etichettatore rupestre in una grotta vicina a Gibilterra. Lo tracciò un neanderthal per far capire che quella era casa sua. E ancora oggi il simbolo serve per delimitare gli ambiti e i limiti di una affermazione. Il contesto a cui va riferita. Come è possibile che un simbolo abbia una storia così lunga? Ci dice Arcangeli: «Tutto dipende da quanto è forte la capacità simbolica. Il cancelletto è evidentemente un cancelletto per chiunque lo guardi. Ecco perché ha trovato spazio anche negli spartiti per segnalare il diesis o nei manoscritti per rimarcare la mancanza di uno spazio. E questo ha dato al simbolo la forza necessaria ad attraversare i secoli. La chiocciola ha lo stesso tipo di forza, si richiama alla spirale: un simbolo potentissimo. Penso che siano simboli tornati per restare a lungo».
IL BREVE NON DURA E tutte quelle abbreviazioni che invece andavano di moda nell'epoca degli sms? Quelli invece non è detto che restino di moda. «Nell'epoca degli sms abbreviavamo tutto, un po' come i notai medievali o gli scrittori di lapidi dei romani. Era il mezzo di comunicazione a spingerci a farlo. Ora c'è molto meno bisogno e quando scrivo ai miei studenti loro lo trovano un modo di scrivere vecchio. Loro sono molto più bravi di me a capire il senso delle parole stravolte dal correttore automatico o appunto a cavarsela con gli emoticon di cui parlavamo prima. È uno dei problemi di questo nuovo universo linguistico pieno di simboli.
Serve un contesto culturale comune per capirsi e col tempo può deteriorarsi. Però in questo momento bisogna vedere anche il lato positivo. In nessuna epoca della storia dell'umanità si è mai scritto così tanto. La scrittura non è mai stata così viva».
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