Dalle quote latte alle grandi opere: storie di arroganza anti-italiana

TRUCCHI Il leghista Salvini: «L’ultimo tentativo? Gli aiuti per il burro erano riservati solo al nord Europa»

«Due sere fa ero qui a Bruxelles con una delegazione di produttori italiani della filiera del latte. Erano furibondi, perché la lobby franco-tedesco-olandese, quella che qui comanda, era decisa a far arrivare tutti gli aiuti per risollevare questo settore in crisi, e stiamo parlando di 570 milioni di euro, soltanto a chi stocca burro e latte in polvere. E l’Italia, si sa, non produce né l’uno né l’altro, ma buon per noi solo quello che è sempre stato il latte, ovvero quello prodotto dalle nostre vacche».
Pur se fresco di nomina al Parlamento europeo, e nonostante la lontananza dai Navigli, sembra che l’uggioso train de vie della capitale belga non abbia appannato la grinta al leghista Matteo Salvini. Che racconta l’ennesimo episodio di quella che possiamo chiamare euro-arroganza. O anche euro-supponenza. Tanto, a ben guardare, tra l’uno o l’altro termine le cose cambiano poco, perché dietro la sola forma del neologismo scelto, sotto quella decisione così evidentemente anti italiana, rimane l’ineludibile sostanza di un’ennesima euro-stupidaggine. Racconta, Salvini. E si euro-incavola. Questa del latte - per dovere di cronaca - è poi finita bene in zona Cesarini proprio ieri sera, grazie all’intervento del vicepresidente della nostra Commissione agricoltura, Paolo De Castro, riuscito a far arrivare un’importante fetta di 180 milioni di euro anche a chi, come le aziende nostrane, produce formaggi a pasta dura.
Ma di episodi così, di opposizioni preconcette, di giudizi affrettati e di sgambetti spesso pilotati da una precisa regia politica, sono del resto piene le cronache dell’eurocommissione e del parlamento di Strasburgo. Circostanze in cui l’Italia si è spesso trovata a combattere, a Bruxelles e dintorni, sia contro le istituzioni stesse sia contro le loro consolidate e ben retribuite burocrazie. Pur se magari ottenendo poi una piena, per quanto tardiva, soddisfazione.
Franz Turchi, eurodeputato di An dal ’99 al 2004, nonché vicepresidente della Commissione bilancio, ricorda per esempio quella sua richiesta di una «commissione d’inchiesta sui fondi europei concessi alla Palestina in cui chiedevo se qualcuno di fosse reso conto di come venivano utilizzati. Beh, mi trattarono e trattarono l’Italia in modo vergognoso, accusandoci di chissà quali nefande intenzioni. Per poi rendersi conto che qualche problema in verità esisteva». Quei soldi, si appurò infatti - milioni di euro - finivano per quasi la metà nelle tasche di Arafat, altrettanti nelle casse del terrorismo palestinese, mentre qualche milioncino che avanzava consentiva all’entourage del leader dell’Olp di vivere tra gli agi a Parigi. Un vaso di Pandora che, una volta scoperchiato da Turchi, fu anche prontamente richiuso.
L’ex europarlamentare di An ricorda ancora, per dare il metro della diffusa spocchia anti-italiana, di quando il nostro Paese fu messo sotto accusa (era presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi) circa l’utilizzo dei fondi europei. L’evidente obbiettivo di quell’operazione di disinformatia, puntava al loro taglio di quei fondi. «Ci scaricarono addosso le accuse più abominevoli», dice Turchi. Che ricorda però come Ciampi, in soli due giorni, convocò tutte le Regioni raccogliendo una richiesta fondi massiccia, ben oltre le previsioni. «Così - aggiunge il parlamentare - dovettero mollare quanto ci era dovuto».
«E c’è stato dell’altro - continua - come il caso del Trans European Network, ovvero quel complesso di grandi opere per realizzare i corridoi di viabilità, sostenuto con convinzione da Giulio Tremonti (era il semestre a presidenza italiana, ndr)». Quella proposta fu bocciata subito con un «non funziona», con repliche «che nei nostri confronti contenevano le solite più o meno velate accuse di non essere attendibili, o poco pragmatici. Peccato che poi il Ten sia diventato una realtà, adottato subito da Francia e Germania e successivamente da noi».
Un preconcetto, quello nei confronti del nostro Paese, che forse in passato aveva trovato lecito fondamento nel caso di Franco Maria Malfatti, che dopo un solo anno e mezzo di presidenza europea aveva clamorosamente e disdicevolmente abbandonato l’incarico per poter partecipare alle elezioni politiche italiane del 1972. Tanto che ci fu chi disse che «l’Italia non può rappresentare l’Europa ad alto livello». Valutazione poi smentita dalla presidenza - checché ciascuno ne possa pensare - di Romano Prodi. Ma anche dalle vicepresidenze di Franco Frattini e (quella attuale) di Antonio Tajani.
Anche Mario Borghezio, capo delegazione della Lega Nord a Strasburgo, si tira fuori dalla scarpa un sassolino che gli dava fastidio da un po’. Un chiaro esempio di quella stessa prevenzione anti italiana che può essere di fondo - se magari suggerita dall’estero - ma anche figlia di una precisa interpretazione politica dei fatti, se di “zampino“ nostrano. Era l’estate del 2008, «quando molti giornali italiani orchestrarono una campagna di aggressione contro Roberto Maroni a proposito della questione sulle impronte digitali da prendere ai bambini rom». Era successo che un’agenzia di stampa, uscita certo non a caso, contenesse valutazioni pesantemente negative sull’iniziativa del ministro dell’Interno. Valutazioni attribuite al commissario al multilinguismo, il romeno Leonard Orban.
«Una montatura politica innescata da esternatori», ricorda Borghezio, dal momento che quelle dichiarazioni «non provenivano dal commissario, bensì dal suo portavoce, l’italiano Pietro Petrucci.

Per non dire poi del fatto che «in tutta evidenza, chi aveva fatto circolare preventivamente quelle critiche aveva dimostrato di non avere la più pallida idea né dell’esatto contenuto del provvedimento di Maroni, né tantomeno di una prassi che era in uso da tempo da parte della magistratura per poter identificare in modo certo i minori stranieri».

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