È come una sfida, a suo modo poetica, fra il tonitruante Mou nelle vesti di Dante e il sussurrante Pep in quelle di Petrarca. È come una passerella su cui sfilano, alternandosi e guardandosi in cagnesco, i modelli di Armani e quelli di Valentino. È come un duello antico, del genere Paride-Menelao o Achille-Ettore, con lepica che però si mette in disparte e lascia spazio alla cronaca, televisiva o radiofonica.
Naturalmente stiamo esagerando. Naturalmente, perché il calcio, alle nostre latitudini latine, di Italia e Spagna, o è esagerato o non è. E Barcellona-Inter, il piatto più «forte» del menu Champions League 2009-2010 (più della finale, senza dubbio, essendo Bayern e Lione lequivalente di due tramezzini, a petto di Barça e Beneamata) è il trionfo dellesagerazione. Appassionato, caliente, uno scontro titanico che spacca in due la platea mondiale e in cui di neutrale (si spera) ci sarà soltanto il belga De Bleeckere, arbitro della tenzone.
Una partita da giocare a regola darte, con fantasia e stile, impeto e raziocinio, con la passione ad azionare i muscoli e il coraggio a sostenere i pensieri. Il teatro più bello e maestoso, lagorà dove 22 oratori se ne diranno di cotte e di crude per la gioia delluditorio universale, si chiama Camp Nou, ma potremmo ribattezzarlo Campo di Marte.
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