Roma - I Paesi che non riducono il proprio deficit strutturale di mezzo punto di pil all’anno «vanno contro lo spirito e la lettera del patto di stabilità». Lo scrive il rapporto trimestrale della Commissione europea. Più o meno dello stesso tono le critiche che al Dpef arrivano da Fondo monetario internazionale. Il Dpef - dicono fonti dell’Fmi - «non è in linea» con le raccomandazioni del board e «non risponde a quel di cui l’Italia ha bisogno».
Alla base delle osservazioni della Commissione Ue e dell’Fmi, il quadro di finanza pubblica fornito con il Dpef. Quest’anno il deficit sarà - secondo i progetti del governo - al 2,5% del pil; esattamente come quello del 2006, al netto delle una tantum. Per il prossimo anno, il Dpef prevede un deficit al 2,2%, con una correzione dello 0,3% del pil: inferiore al mezzo punto chiesto dalla Ue. Cioè, inferiore ai livelli previsti dal patto di stabilità. Nelle condizioni italiane c’è anche la Francia. E all’Eurogruppo di lunedì prossimo, Padoa-Schioppa aveva meditato una strategia di «allineamento» alle posizioni francesi. Da Bruxelles, però, gli hanno ricordato che Parigi è pronta a non ridurre il deficit per un forte abbattimento della pressione fiscale; mentre l’Italia lo fa per aumentare le spese. In più, il debito italiano resta il più alto della Ue, mentre quello francese è prossimo ai parametri di Maastricht.
Alle critiche della Commissione europea, il ministro dell’Economia, raggiunto alla conferenza stampa sul federalismo fiscale, risponde così: «Ho una mente segmentata, parlo solo del tema in oggetto. Alle medie la mia professoressa di lettere mi diceva che quando si va con il tema preparato, e magari ci si è preparati a fare un tema sul gatto, poi si arriva a scuola e il tema ha per soggetto il cane... Allora, hai due ore di tempo: per un’ora e 55 minuti pensi alla frase “il peggior nemico del cane è il gatto”, poi fai il tema sul gatto». E a chi insisteva per un commento sul rapporto Ue, aggiunge: «Ho esaurito le batterie».
In precedenza, il ministro aveva partecipato a un convegno a porte chiuse al quale era presente anche Klaus Regling, estensore del Rapporto della Commissione Ue. Al termine del suo intervento, Padoa-Schioppa si è allontanato senza salutare.
Con ogni probabilità, il ministro non si aspettava che gli organismi internazionali valutassero così negativamente il Dpef: «Non mi aspetto l’insufficienza», aveva detto il giorno dell’approvazione da parte del Consiglio dei ministri. Che, al contrario, sembra arrivare. E non solo dalla Commissione Ue, ma anche dal Fondo monetario.
Gli esperti di Washington concentrano le proprie critiche sull’utilizzo del «tesoretto» per finanziarie nuove spese. Una scelta che viene giudicata «un passo indietro». Ma ciò che temono sia a Washington sia a Bruxelles saranno le iniziative del governo in materia previdenziale. La Commissione Ue fa finta di non assistere al dibattito in corso; e resta ferma sul principio della legislazione vigente. Vale a dire che, finquando non viene modificata, per la Ue vale la riforma Tremonti-Maroni. L’Fmi, invece, osserva «l’importanza di proteggere l’impianto finanziario delle riforme delle pensioni. Purtroppo i negoziati su queste riforme non sono giunti a conclusione, com’era previsto, prima dell’approvazione del Dpef». Ne consegue che, «data la sostanziale incertezza che circonda i negoziati in corso, l’aggiustamento fiscale del Dpef potrebbe venire indebolito».
Più o meno lo stesso giudizio arriva anche dall’agenzia di rating Standard&Poor’s. Il Dpef rispecchia «la sostanziale debolezza del governo», spiega l’agenzia americana per giustificare la propria posizione di lasciare invariato il rating sul debito.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.