Roma - Il Trentino non sarà l’Ohio, come ricordano i guastafeste ulivisti alla Arturo Parisi. E la vittoria del centrosinistra (che già per altro governava la provincia da diverse legislature) era prevedibile, anche se in queste settimane qualche sondaggio aveva destato preoccupazioni.
Resta il fatto che l’affermazione del presidente uscente Lorenzo Dellai e della coalizione che lo sosteneva, fondata su un’inedita alleanza Pd-Udc, c’è stata ed è stata migliore del previsto; che il candidato di centrodestra, il leghista Sergio Divina, è stato sconfitto e che il Pdl ha incassato una battuta d’arresto, facendosi surclassare nelle urne dal Carroccio (14% a 12%). Che ora rivendica la propria supremazia e si prepara a reclamarne i frutti, chiedendo la presidenza di altre regioni del Nord.
Tanto basta all’opposizione per cogliere la palla al balzo e celebrare l’evento come il primo segnale (anzi, il secondo dopo Obama, che però sta oltreoceano) di una ripresa su ampia scala: «I risultati delle elezioni in Trentino sono un importante segnale di valore nazionale, e confermano come anche nel nostro Paese il clima stia cambiando», annuncia Walter Veltroni. Che sottolinea i 20 punti di differenza tra destra e sinistra, e invita a «riflettere» su un dato che «si inserisce in un mutato clima politico e sociale dell’Italia nei confronti del governo Berlusconi».
Un ulteriore (anche se inconfessabile) motivo di soddisfazione, per il Pd, sta nel fatto che, dentro l’alleanza vittoriosa, il partito di Antonio Di Pietro porta a casa un misero 2,7%. Meno dei verdi (che però a Trento sono ben radicati). Non che da quelle parti Italia dei valori abbia mai sfondato, ma di certo sembra capitalizzare poco o nulla, in questo voto, del suo grande agitarsi ai danni del Pd negli ultimi mesi.
Ma anche se nel principale partito di opposizione stavolta sono tutti contenti (tranne il solito Parisi, che fa capire che a Trento non ha vinto Veltroni ma una specie di redivivo Ulivo prodiano, e che se il Pd si ostina a non ricostruirlo e ad andare «solo», continuerà a perdere), ci si divide sull’interpretazione dei risultati. Enrico Letta, grande sponsor di un matrimonio con Pierferdinando Casini, afferma che «il modello delle provinciali in Trentino è l’unico con il quale possiamo vincere anche a livello nazionale». Francesco Rutelli va ancora oltre, e sostiene che «ora sul piano politico emerge con nettezza che la strada per il futuro è una alleanza di nuovo conio a livello nazionale». Subito allarmando gli ex popolari, che non vogliono essere rimpiazzati dall’Udc: «Non so cosa abbia in mente Rutelli - dice il capogruppo Antonello Soro - ma penso che il compito del Pd non sia quello di delegare ad altri il presidio del centro».
Il veltroniano Giorgio Tonini getta acqua sul fuoco dei vari entusiasmi, spiegando che il modello trentino è «difficilmente esportabile», e che l’alleanza «ovunque» con l’Udc è difficile da realizzare, visto che lo stesso Casini per ora la rifiuta: «Volevamo farla anche in Abruzzo, ma loro non hanno voluto. E comunque non si può spiegare il successo del Trentino solo con l’appoggio dell’Udc: è stato utile, ma la cosa più importante è stata la forte connotazione autonomista del centrosinistra».
A creare fibrillazioni in casa Pd c’è anche l’irrisolta questione della collocazione internazionale, che
prima delle prossime europee andrà per forza chiarita. E ieri Beppe Fioroni, scatenando le ire degli ex Ds, ha fatto sapere che nel «vecchio Pse» non si può entrare, e che serve il «coraggio» di inventare «una nuova casa».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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