Deng Xiaoping il confucianesimo in salsa rossa

«Non importa se un gatto è bianco o nero, importante è che prenda i topi». In questa celebre frase è concentrata la filosofia di Deng Xiaoping (nella foto) e la sua «ricetta» che ha portato la Cina fuori dalle secche del maoismo. Nello spregiudicato pragmatismo (figlio del confucianesimo) e nella capacità di formulare un sistema che coniugasse il liberismo di mercato con l’assolutismo di Stato, Deng Xiaoping è l’uomo che forse meglio incarna l’anima polimorfa di Shanghai. Nacque nel 1904 in un piccolo villaggio, figlio di nobile famiglia. Negli anni Venti arrivò a Parigi dove si compì la sua educazione socialista e dove entrò nel Partito comunista cinese. Nel ’34 partecipò alla Lunga Marcia e dopo la guerra salì ai vertici del partito. Perse tutte le cariche con la Rivoluzione Culturale e subì umiliazioni e processi. La sua ascesa ricominciò dopo la caduta della Banda dei Quattro. Superato il confuso periodo del «dopo-Mao», Deng impostò la rinascita economica della Cina sostenendo la necessità di integrare la «verità universale» del marxismo con la realtà concreta del Paese.

Nel ’90 si dimise da molte cariche dopo i tragici fatti di Tienanmen, dei quali fu ritenuto responsabile. Nel ’94 si ritirò a vita privata, mantenendo solo la presidenza dell’Associazione nazionale di bridge. La sua morte fu annunciata ufficialmente il 19 febbraio 1997.

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