Cultura e Spettacoli

Design e architettura a braccetto per inventare i dorati anni Ottanta

Architetto o designer? Artista o performer? Decoratore o provocatore? Sono alcune delle domande che ci si pone di fronte al poderoso corpus di opere di Alessandro Mendini, cui da oggi il MARCA di Catanzaro rende omaggio con una mostra in parte retrospettiva e in parte proiettata sul presente e, perché no, verso il futuro.
Mendini, infatti, non è solo protagonista degli ultimi quarant’anni di architettura italiana, ma soprattutto responsabile primario di quel deciso cambio di rotta nello stile e nel gusto coinciso con la nostra golden age, i fantastici anni ’80. Nonostante la formazione concettuale, implicita per quelli della sua generazione, abbandonerà presto le speculazioni teoriche per dedicarsi a rappresentazioni oggettuali concluse, destinate a entrare nelle nostre case. Nato a Milano nel 1931, compie la pratica presso lo Studio Nizzoli Associati, quindi tralascia la progettazione sedotto dal giornalismo e dall'editoria. Tra 1970 e 1976 dirige Casabella (che funziona da traino del suo primo gruppo, i Global Tools); nel ’77 fonda Modo, nel ’79 eredita da Giò Ponti la direzione di Domus, fino al 1975, riprendendola sorprendentemente, a distanza di venticinque anni, lo scorso febbraio.
Se il primo periodo di attività segue la linea di un’architettura incline alla smaterializzazione, vicina alla Body Art, alla performance, all’intervento estemporaneo, la vera «rivoluzione» si compie nel 1979, quando neanche troppo casualmente si assiste alla rinascita della pittura e al ritorno in voga del prodotto manuale e artigiano. È tra i primi, Mendini, a introdurre nel nostro Paese la nuova mentalità postmoderna, non più in lotta con il passato, indifferente al problema dell’originalità a tutti i costi, incline a considerare la storia e la tradizione come un ampio bagaglio dal quale attingere idee, immagini, sensazioni. Nel 1980 è al centro della I Biennale d’Architettura a Venezia, insieme a Paolo Portoghesi e Aldo Rossi, nata proprio per evidenziare che questo linguaggio non può più essere considerato una branchia delle arti visive, ma espressione matura in cui riflettere di contaminazioni e cross-over. Mendini ne cura una delle sezioni più intriganti, «L’oggetto banale», dedicato al design italiano, d’autore e prodotto di massa, che ha scandito le abitudini degli italiani, recuperando in pieno il valore positivo del termine decorazione bandito dalle teorie di Adolf Loos (quello de «l’ornamento è un delitto») e seguito come un dogma da funzionalisti e minimalisti. Simbolo di questa fantastica «controrivoluzione» è la Poltrona Proust, dedicata allo scrittore della Recherce, che consiste nel riappropriarsi di una vecchia e comoda seduta in stile Impero, molle e debordante a sfiorare il kitsch, dipinta a mano tra pointillismo astratto e iperdécor. La Poltrona, divenuta un oggetto di culto e prodotta dallo Studio Alchimia cui collaborano saltuariamente Michele De Lucchi ed Ettore Sottsass, rivela la non secondaria passione di Mendini per la pittura, disciplina che ha sviluppato in parallelo, esponendo spesso i suoi quadri in gallerie d’arte.
Di parallelismi è peraltro ricca la sua storia, principalmente di scrittura teorica, peraltro sempre piacevole e divulgativa, sfociata in diversi volumi come Paesaggio Casalingo (1978), ovvero la fine dell’architettura utopistica alla stregua della Land Art, Addio architettura (1981) e Progetto infelice, improntato su una visione romantica e sentimentale. Dai vassoi alle caffettiere realizzate per Alessi ai celeberrimi vasi pensati come una serie illimitata di esemplari unici, fino al Mobile infinito con cui vince il secondo Compasso d’Oro nel 1981, gli arredi di Mendini siglano il gusto eighties con citazioni futuriste e matissiane, simbolo di una ritrovata gioia di vivere dopo i quindici anni più cupi del nostro dopoguerra. Mendini incarna il riscatto del Belpaese, il boom del Made in Italy, il concetto di un design popolare nel senso buono, alla portata (anche economica) di tutti. In tempi in cui non esisteva ancora l’ingombrante figura dell’Archistar, Mendini ha messo in scena la fluidità a tutto tondo, con leggerezza, ironia e pensiero. Il suo Atelier, fondato a Milano nel 1989 col fratello Francesco, è ancora così, una fucina di idee.

Mendini, un architetto felice, che traspira cordialità, gentilezza, non conosce l’arroganza ed è molto amato perché ci fa ricordare quanto erano belli i nostri vent’anni.

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