Destini incrociati

Sharon ha riunito i «resti» del suo governo (non potrà infatti nominare nuovi ministri se non dopo l’8 dicembre) e i capi dei servizi di sicurezza per decidere la risposta da dare all’attacco suicida che ieri ha causato 6 morti e 55 feriti a Netanya. Non è una risposta facile. Anzitutto perché il ministro della Difesa Mofaz, uno dei candidati alla guida del partito Likud, chiede al premier di agire con il pugno di ferro contro i palestinesi sia per il bene del Paese sia per guadagnare punti elettorali nei confronti del suo principale avversario di partito Netanyahu. Inoltre chiede al procuratore generale dello Stato di ridare all’esercito il permesso di distruggere le case dei familiari dei kamikaze; e a Sharon di autorizzare la ripresa della soppressione mirata dei leader terroristici. Mofaz, infine, vorrebbe che fosse lanciata una grande offensiva nella zona di Tulkarem per distruggere le strutture della Jihad islamica.
Sharon è cosciente del fatto che le organizzazioni terroristiche palestinesi sono impegnate in questo momento in una gara il cui traguardo è duplice: 1) farsi pubblicità colpendo Israele, 2) provocare reazioni del governo Sharon che fiaccherebbero ancora di più l’attuale autorità palestinese. Il premier israeliano quindi non ha interesse a mettere ulteriormente in difficoltà Abu Mazen, già così debole a Gaza tanto da essere incapace di organizzare le «primarie» dei candidati di Al Fatah senza scatenare sanguinose rese dei conti. Ecco perché il presidente dell’Autorità palestinese ha deciso che saranno società private di demoscopia a stabilire i nomi dei candidati preferiti dal pubblico per le elezioni politiche di gennaio.
Sharon intanto deve decidere se ampliare o no il raggio di tiro delle artiglierie israeliane su Gaza, da dove aumentano i lanci di missili contro i villaggi israeliani dall’altra parte del confine, senza provocare troppe vittime tra i civili nello sforzo di colpire le basi dei terroristi. Deve anche decidere cosa fare con il tanto discusso muro di separazione fra Israele e la Palestina, che proprio nella zona centrale del Paese si rivela essere il «ventre molle» della sicurezza a causa delle centinaia di veicoli che lo attraversano ogni giorno nei due sensi, ma facendo attenzione a non colpire l’economia palestinese, che il Primo ministro ha deciso di sostenere estendendo ad altre migliaia di palestinesi i permessi di lavoro in Israele.
Infine, ci sono la Siria e l’Iran. Washington ha respinto la richiesta israeliana di aumentare le pressioni diplomatiche su Damasco portando il sostegno siriano alle organizzazioni terroristiche davanti al Consiglio di sicurezza. Il capo di Stato maggiore israeliano, per parte sua, ha detto alla radio di non credere che Teheran arresterà la sua corsa alla produzione della bomba atomica. Netanyahu, candidato favorito alla guida del Likud dopo l’abbandono del partito da parte di Sharon, ha completato il suo pensiero dichiarando che Israele deve attaccare le basi atomiche iraniane come fece Begin con quelle irachene nel 1981. Dichiarazione che è stata subito bollata dai suoi avversari come irresponsabile.


Se Sharon è riuscito a evacuare i coloni dalla zona di Gaza senza sottostare al fuoco delle organizzazioni islamiche - grazie alla collaborazione dell’Autorità palestinese - Abu Mazen non potrà condurre in porto le elezioni palestinesi di gennaio senza la collaborazione di Sharon, né Sharon vincere la sua battaglia elettorale senza la collaborazione di Abu Mazen contro il terrorismo islamico. Anche in politica interna Israele e Palestina si rivelano così fratelli siamesi.

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