La destra piagnona e la falsa egemonia culturale di sinistra

Nella battaglia l’arma vincente sono le idee. Mentre troppi pensano solo a nomine e prebende

La destra piagnona e la falsa egemonia culturale di sinistra

Caro direttore,
concordo con l’analisi di Caterina Soffici sul «caso Buttafuoco», in cui giustamente distingue l’autore del romanzo Le uova del drago dalla tipologia da stereotipo dei cosiddetti «intellettuali di destra». Quelli con un atteggiamento perennemente improntato al rancore, alla recriminazione, alla lamentazione per i torti subiti e i meriti non riconosciuti. Quelli che non tengono conto della realtà - che è cambiata, e come! - e continuano a sentirsi all’interno di una cittadella assediata. La verità è infatti diversa e il successo del romanzo di Pietrangelo lo dimostra meglio di qualsiasi ragionamento. Che poi Buttafuoco - ma non solo lui - venga letto e apprezzato e coltivi interlocuzioni e amicizie anche a sinistra è solo l’ulteriore riprova di tutto questo.
Ma andrebbero aggiunte altre considerazioni, che riguardano anche il passato. Siamo davvero sicuri che in Italia nel secondo dopoguerra abbia prevalso nel Paese l’egemonia della sinistra? Non ci riferiamo ovviamente all’occupazione degli spazi del potere culturale, alle università, alle case editrici, ma all’immaginario profondo e diffuso. E qui la cultura radicata non è stata mai di sinistra. Non dicono niente nomi come Giuseppe Berto, Leo Longanesi, Hugo Pratt, Gualtiero Jacopetti, Giuseppe Prezzolini, Giorgio de Chirico, Indro Montanelli, Adriano Bolzoni, Pio Filippani Ronconi, Giuseppe Tucci? E che dire di un pittore come Giuseppe Burri, al quale in questi giorni l’amministrazione veltroniana del Comune di Roma dedica una retrospettiva e di cui sul quotidiano Liberazione, dopo averne elogiato il grande ruolo d’avanguardia, hanno dovuto ammettere: «È stato il più grande artista italiano del Novecento. Questo ci dispiace dirlo, ma questo artista era un uomo di destra». E chi dimentica il paginone del Corriere della Sera con cui Giovanni Raboni constatava come tutti i giganti del pensiero e della letteratura del Novecento erano da ascrivere a destra? «Anche negli anni in cui la sinistra sembrava essere l’arbiter del culturalmente corretto - ha spiegato Sergio Romano - gli editori pubblicavano autori decadenti come D’Annunzio e scettici inquieti come Pirandello».
Ma anche per il presente, come negare che le idee dominanti e di successo oggi in Italia non possono assolutamente essere collocabili a sinistra. Ha pienamente ragione Buttafuoco: «La cosiddetta cultura di destra si è persa in lagnose diatribe, stucchevoli e patetiche sull’egemonia culturale della sinistra, che per me non esiste». Noi del Secolo d’Italia ci siamo occupati per primi della necessità di prendere coscienza di questa situazione. Ed effettivamente come si può parlare di egemonia della sinistra quando il romanzo di Buttafuoco vende quel che vende o i libri di viaggio del vostro Stenio Solinas hanno tutto il successo che meritano? E come arruolare a sinistra figure come Geminello Alvi, Giuseppe Conte, Claudio Risè, Stefano Zecchi, Enrico Vanzina o Andrea G. Pinketts? Si tratta di un fenomeno che a suo tempo aveva già capito un acuto intellettuale di sinistra come Alberto Abruzzese, spiegando - già nel 1982 - ai vertici del Pci che avevano sbagliato tutto puntando tutto sulla politica dell’occupazione del potere culturale mentre la vera egemonia, quella delle idee diffuse, sfuggiva loro completamente di mano. Perché è vero quanto ha sottolineato ancora Sergio Romano, e cioè che «nelle università i professori comunisti riuscirono a controllare i concorsi e a presidiare i senati accademici, ma quelle cellule erano solo la versione moderna e aggiornata delle conventicole corporative».
E anche quando queste cellule entrarono nei giornali o nella Rai, mai riuscirono a controllare il movimento libero e spontaneo delle idee e della cultura. Tanto è vero che nel ’94 proprio Abruzzese nel pamphlet Elogio del tempo nuovo spiegava alle sinistre perché avvessero perso il controllo (anche elettorale) del Paese: perché la cultura diffusa era tutta orientata in altra direzione. E questo gente come D’Alema e Veltroni lo sanno benissimo. Di più, però, dovrebbe saperlo chi sta anche politicamente a destra. Pier Francesco Pingitore lo ha spiegato assai bene proprio a noi del Secolo: «La colpa - ha detto - è anche di molti intellettuali schierati a destra che parlano e agiscono sempre in punta di piedi, anche in televisione. Sembra che abbiano un complesso, si sentono sempre ospiti...».
Sta tutto qui il problema, nell’atteggiamento da ospiti e complessati espresso da chi - spesso - tende (ingiustificato) a rappresentare tutti gli uomini di cultura non collocati a sinistra.

E ci viene anche un sospetto: non è che questi invece di produrre cultura vogliano soltanto ottenere nomine, promozioni, prebende in nome di una vecchia idea di cultura assistita e finanziata? Non crediamo che Papini e Prezzolini, Gentile e Soffici, Malaparte e Marinetti avessero agito chiedendo qualcosa al potere. Nella battaglia dell’egemonia l’unica arma sono le idee. E chi non ce l’ha non può recriminare nulla.

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