Maria Vittoria Cascino
da Sestri Levante
La storia è sempre la stessa, non si scappa: giovane innamorato, fanciulla da conquistare, prove da superare, enigma e lieto fine. È come la racconti che fa la differenza. Soprattutto alla trentottesima edizione del Premio Andersen che quest'anno ama stupire e spiazzare chi si aspetta la favola e basta. Che è già un mondo. Troppo scontato forse. E così mentre esordisce con la storia di quel «lungo filo nero che conduce dalle stragi nazifasciste del 44-45 alle oscure vicende italiane degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta», t'incorona vincitrice la «Favola in lingua». È la rivincita dei dialetti sulla lingua moderna, sul nostro italiano da bosco e da riviera, su quel «c'era una volta» che diventa «la gsera na volta».
Mai successo. Rompiamo gli schemi perché non ci sono solo favole a lieto fine. Rompiamoli perché la favola si lega a doppio filo con la cultura popolare. Così ci sta anche Francesco Bindi con la sua «Favola in lingua» che porta a casa pure il trofeo Baia delle Favole. Successo su tutta la linea. Ci ha raccontato una storia che facciamo fatica a seguire. Ma questo è secondario.
È l'operazione coltissima quella che sfida e provoca il festival. Che coglie l'affondo e risponde con l'oro del successo. Ma vaglielo a spiegare a quei bimbetti che ieri affollavano l'Annunziata e ascoltavano a bocca aperta Sarà Bertelà che recitava la favola, che dietro la nostra lingua c'è la lingua dei nostri nonni. Che le favole le raccontavano così in fretta per accelerare la nanna saccheggiando il quotidiano. E poco importa se dicevano «a me mi pare» e sbagliavano il verbo o storpiavano le parole.
Lo ha portato in scena Dario Fo quel linguaggio, l'ha messa sulla carta Carlo Emilio Gadda quella contaminazione. E Pasolini su quell'innocenza scandalosa ci ha lavorato una vita. Ed è proprio al suo Canzoniere della poesia dialettale che s'ispira Bindi, 31 anni, toscano di Roma, laureato a Firenze in storia della critica, docente di lingua e schivo. Butta giù una sorta di elogio funebre a questi dialetti d'Italia in via d'estinzione. Ne viene fuori un caleidoscopio di espressioni e modulazioni che stringono sulla borgata romana, il respiro lungo della campagna veneta, gli attacchi sonori del napoletano.
Ci sta tutto. Una favola per adulti che abbiano la pazienza di seguire la virate del suo linguaggio. Una favola che ha entusiasmato perché «originale e innovativa». E la provocazione continua quando in chiusura leggi: «La gsera na volta, de la faula, la moral. Ogi dimela ti, piccinin che legi, se ne sai più de mi».
Chiediamolo ai bambini,sono loro i giurati più sinceri. Intanto per la sezione Scuola Materna vince «Il paese delle bolle», scuola dell'infanzia di Rivolto (Udine). Sezioni Bambini: «La scopa della strega di Baiardi Andrea Annalisa (Novara). Sezione Ragazzi «La battaglia perfetta», scuola media Leopardi I B (Modena).
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