Il dialogo secondo Walter: gli insulti

Che poi, a pensarci bene, dev’esser pure una fatica improba, tirar su e poi giù e poi di nuovo su le barricate. Tant’è. L’ultimo saliscendi, un sudatissimo Walter Veltroni l’ha fatto per la Vigilanza Rai, prima costruendo il muro attorno a Leoluca Orlando, poi abbattendolo per far passare Sergio Zavoli. Nel mezzo, sarà stato lo sforzo, ci ha piazzato un paio di imprecazioni, obiettivo Silvio Berlusconi, ché qualunque cosa accada, per il leader del Pd la colpa è del premier, piove governo ladro. Il Parlamento ha eletto Riccardo Villari? I democratici hanno gridato al «gravissimo attentato alla democrazia da parte di Berlusconi», e va loro a spiegare che era con Villari che se la dovevano prendere.
Del resto, va così. C’è la tempesta finanziaria termonucleareglobale? Dice Walter che «la colpa è della destra e della sua ideologia, di cui deve chiedere scusa». C’è la guerra fra poveri sulla sicurezza e urgono provvedimenti? «C’è un’ondata di razzismo e il governo le strizza l’occhio». Se mette la camicia scura, va da sé, il Cavaliere è fascista. Se sceglie il maglioncino è una chiara provocazione per zittire l’opposizione. Se prende una decisione per affrontare una crisi qualunque è «come Putin». Se è di cattivo umore «mette una cappa di piombo sul Paese», se invece scherza «stia attento perché le parole sono pietre». Lui, il premier, la mattina si veste come vuole e l’umore non se lo fa condizionare da tempo, mancavano cinque giorni alle politiche di aprile e lui disse: «Veltroni mi ha deluso. Diceva che sarebbe andato da solo alle elezioni e invece ha accorpato Di Pietro. Parlava di “volemose bene” e invece ha fatto una campagna elettorale di sole menzogne». Da allora ragiona così: i numeri per governare gli italiani me li hanno dati, quindi chi c’è c’è. Veltroni c’è sempre meno.
Bei tempi, quelli in cui ai comizi non voleva sentir volare una mosca, figurarsi i fischi contro «il mio avversario», sì perché per non incorrere nell’automatismo appreso in 15 anni di causa-effetto fra il nome Berlusconi e l’insulto, Walter il Cavaliere non lo nominava mai. E sì che aveva dovuto battagliare non poco per convincere i suoi che «l’antiberlusconismo non paga», che «le riforme vanno fatte insieme», che «è troppo facile quando si sta all’opposizione usare toni esasperati», che «anche se verremo attaccati non sentirete mai da me una sola parola di odio nei confronti del mio avversario». Ma forse trattasi di definire, nel vocabolario democratico, che cosa si intenda per «toni esasperati», «odio», «insulti». È esasperare i toni dire che il premier «sta rovinando l’Italia economicamente, politicamente e moralmente?». Mah. È fomentare l’odio affermare che «il presidente del Consiglio incarna la realtà di pericolose pulsioni xenofobe e razziste, di scavalcamento o marginalizzazione delle istituzioni, di noncuranza per la patologica concentrazione del potere»?. Eh. Fa parte della categoria degli insulti definire Berlusconi «anomalia del sistema», «bullismo al governo» oltreché «bugiardo»?. Boh.
È stata un’escalation, a volte un po’ schizoide. Il 28 settembre, per dire, c’era il regime: «Con Berlusconi la democrazia è svuotata come la Russia di Putin», il 12 ottobre non c’era già più: «L’Italia non è un regime, c’è ancora la democrazia», il 19 stava arrivando: «C’è uno slittamento verso un sistema totalitario».
La svolta feroce conta due tappe significative. La prima è la festa democratica, quella di Firenze, quando Tonino rubò a Walter mica gli applausi, ma le ovazioni, dicendo cose tipo: «Invito il Pd a fare come noi di Idv, che non immaginiamo di sederci a tavola con questo governo, sarebbe come un agnello che siede a tavola col lupo». La seconda data è quella fatidica del Pd al Circo (Massimo), quando Walter virò decisamente sulla cattiveria: «Stanno facendo dell’Italia un deserto di valori e la chiamano sicurezza, stanno cercando di creare un pensiero unico e lo chiamano consenso.

Stanno calpestando la vita democratica e la chiamano decisione». Ah. L’ultima dichiarazione è tutta un programma. Veltroni duepunti «Berlusconi è inadatto al dialogo». In fondo, star sulle barricate è meno impegnativo che abbatterle.

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