Usando il motore di ricerca di Google, la parola «crisi» è associata a circa tre milioni e mezzo di risultati. Mettere insieme tutti i pezzi per ricomporre il puzzle della peggior recessione del dopoguerra è dunque una vera e propria impresa. Il bel libro delleconomista Marco Fortis, «La crisi mondiale e lItalia» (il Mulino, 2009), è quindi un utile strumento per comprendere e approfondire le radici della tempesta, prima finanziaria e poi economica, che ha squassato lintero pianeta.
Fortis ha strutturato il volume come un diario di bordo: a partire dal giugno 2008, e fino al gennaio di questanno, lo scandire dei trenta capitoli segna passaggi importanti nellevoluzione della crisi. Cè la sottovalutazione iniziale del fenomeno da parte di tutti, e a tutti i livelli (governi, banche centrali, organismi internazionali, agenzie di rating); cè la colpevole ignoranza della portata distruttiva dei nuovi strumenti finanziari, vere e proprie armi di distruzione di massa della ricchezza globale, anche se la loro proliferazione discendeva da unidea in fondo perfino nobile: dare una casa a tutti. Dai mutui subprime, e passando dalle obbligazioni collateralizzate per approdare fino agli inscatolamenti al cubo che occultavano i titoli a più alto rischio, il libro offre un punto di vista importante per osservare la diffusione del virus. Senza tralasciare il contributo offerto dal risparmio asiatico, e cinese in particolare, alla sua propagazione. Così come il contagio su scala planetaria assume aspetti sinistri nelle pagine dedicate al liquefarsi di molte banche, costrette ad alzare bandiera bianca per le troppe tossine accumulate nei bilanci.
Fortis si sofferma su ogni pietra miliare della crisi con la lente dellentomologo, cogliendone tanto il nocciolo, quanto le sfumature. Senza mai indulgere in paludamenti accademici, né lasciarsi prendere la mano da cifre e tecnicismi, offre un saggio di divulgazione accessibile a ogni livello, in cui il messaggio centrale sta nella capacità dellItalia di uscire meglio, e più in fretta, di molti altri Paesi dal ciclone recessivo. Il basso indebitamento delle famiglie, pari al 17% del Pil, è uno dei nostri punti di forza, dice leconomista della Cattolica di Milano. E a quanti criticano il governo per il crescente indebitamento, Fortis consiglia di prendere in considerazione un altro parametro, quello del debito «aggregato» (debito pubblico sommato a quello privato) rapportato alla ricchezza nazionale, per capire che siamo messi meglio di Paesi considerati virtuosi sotto il profilo della gestione della finanza pubblica.
In ogni caso, afferma Fortis, le vecchie regole non valgono più. Serve ritrovare, come sosteneva Wen Jiabao, un equilibrio tra finanza e industria e tra chi consuma e chi risparmia. Ne trarremo tutti beneficio.
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