Luigi Mascheroni
Amici e parenti hanno spesso raccontato che fin da piccolo Clemente Rebora (1885-1957) aveva labitudine di appuntare con la sua calligrafia minuta note, poesie e riflessioni su piccoli fogli di carta. Alcuni di questi, scritti di nascosto nellabbaino della casa paterna di corso Venezia, spediti a Giuseppe Prezzolini diventarono poi i Frammenti lirici, pubblicati nel 1913 nelle edizioni della «Voce». Moltissimi altri, che risalgono al periodo successivo alla conversione, sono invece rimasti per anni tra il materiale conservato dai suoi confratelli, a Stresa. E proprio qui, nellarchivio del Collegio Rosmini, tra oltre un mezzo migliaio di foglietti e appunti del poeta-sacerdote, è stato ritrovato da due studiosi, Roberto Cicala e Valerio Rossi, un quaderno risalente alla metà degli anni Cinquanta e che viene oggi pubblicato per la prima volta dalla casa editrice Interlinea con il titolo Diario intimo.
Il quadernetto è di quelli che si usano a scuola, con sulla copertina in cartoncino nero la firma tremolante don Clemente Maria Rebora, e dentro, in poche pagine fitte fitte, un fiume di ricordi, impressioni, preghiere. Rebora, ormai settantenne, «infermo a Stresa, con mano un po paralitica» - scrive proprio nella prima riga - ripercorre i momenti cruciali della propria vita: quando era studente, dalle elementari al ginnasio frequentato al Parini fino ai corsi di Lettere allAccademia Scientifico-letteraria, poi giovane «professoruccio filantropo» (insegnò in diverse scuole di Milano e Treviglio), della volta che il padre - anticlericale e massone che voleva educare il figlio agli ideali mazziniani così diffusi fra la borghesia lombarda dellepoca - lo portò alla Loggia di rito scozzese; e poi lamore per Lydia Natus, la pianista russa con la quale visse negli anni Dieci in una camera al quinto piano di via Tadino, al 3 («i miei gravi disordini nei peccati di sensualità», scrive don Clemente ricordando quel periodo) e flash back della guerra, dalla quale tornò con un trauma nervoso per unesplosione di granata che lo ferì alla testa.
E infine il ricordo di alcune tappe del lento ma inesorabile cammino che a partire dal 1929 lo porterà alla conversione e allordinazione sacerdotale, già cinquantenne, con il voto segreto (riconfermato proprio in questo quadernetto ritrovato) di «patire e morire oscuramente, scomparendo polverizzato nellopera dellamore di Dio».
Quello di Rebora però non è solo il diario di un religioso, è soprattutto il diario di uno scrittore: in queste pagine appaiono molte impressioni e immagini che si ritrovano nei suoi testi più famosi, dalla visione della stazione Centrale di Milano di una celebre poesia giovanile dei Frammenti lirici fino alle metafore che sono al centro dei Canti dellinfermità. Il tema del dolore, non a caso, è centrale nella sua opera: nellultima parte del diario, la più toccante, don Clemente rivive il calvario di una giovane malata terminale, Picciola della Porta, alla quale fu vicino nellestate del 42 quando si trovava nella parrocchia di San Romano.
Ma lincontro decisivo, e il più bello tra quelli rievocati da Rebora (cè anche lo scrittore anglo-indiano Tagore, conosciuto nel 21 nella «casa patrizia» dei milanesi Gallarati Scotti: «grande poeta, ma fallace profeta»), è quello con il cardinale Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano. Un giorno andò a trovarlo, lui giovane poeta senza fede, in Arcivescovado. Il cardinale gli disse semplicemente: «È sulla soglia: entri».
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