Roma - Se le maggioranze cambieranno sui Dico, il nuovo modo per chiamare le unioni di fatto, sembra che ciò non debba avvenire al Senato. Forza Italia compatta non voterà il ddl. Gianfranco Fini ha dato mandato ai suoi parlamentari di An di non soccorrere il governo Prodi e di votare «no». La Lega prepara «le barricate», come annuncia il vicepresidente Roberto Calderoli. Per Pier Ferdinando Casini i Dico «sono un pasticcio che smantella la famiglia». Più che una maggioranza cambiata, come prospetta Piero Fassino senza scandali, a Palazzo Madama si annuncia una maggioranza spaccata, e un’opposizione in aperto contrasto, quando, tra due settimane, il decreto legge Bindi-Pollastrini sulle coppie di fatto arriverà all’esame della commissione giustizia.
I teodem della Margherita insistono col dire che il ddl delle due «ministre» è il male minore che potessero partorire. Ma si prevede una pioggia di emendamenti. E, nel passaggio dell’aula, potrebbe venir meno la rassicurante stampella dei senatori a vita: Francesco Cossiga aveva fatto sapere nei giorni scorsi che avrebbe seguito il «Non possumus» dei vescovi, mentre Giulio Andreotti prega Prodi di mettere i Dico in «frigorifero» e annuncia che pensa «proprio di votare di no». Scontento del contenuto e della forma: «A parte il fatto che il disegno di legge mi sembra scritto malissimo, in un italiano incerto, trovo profondamente sbagliato mettere oggi sul tappeto un provvedimento come questo, che divide le coscienze e rompe con una lunga tradizione basata sul valore della famiglia».
Più che dai teodem, la diserzione arriverà piuttosto dai mastelliani. Il Guardasigilli ieri ha ribadito che il suo rifiuto sarà netto e non barattabile: «Voterò no al Senato, e se mi mettono sotto pressione morale - ha avvertito Mastella - prima mi dimetto da ministro, e poi voto no». A Piero Fassino che gli ha dato dell’«eretico», ha risposto allo stesso modo: il segretario della Quercia è «uno stravagante», perché «è singolare che Fassino oggi annunci che sui Dico bisogna recuperare consenso nell’opposizione». Definisce uno «scivolone del governo Prodi» il presidente della commissione Difesa, ex Italia dei Valori, ora leader degli Italiani nel mondo, Sergio De Gregorio.
Tutti voti negativi annunciati che spaventano anche il vicepresidente Gavino Angius (Ds): «Il ddl mi sembra un primo e importante passo, ma solo il primo. Al tempo stesso non nascondo la preoccupazione per il suo iter parlamentare, soprattutto in Senato, dove sento pareri diversi».
Forza Italia non fornirà i voti mancanti, sottolinea dall’opposizione Renato Schifani, capogruppo azzurro: «Stimo e conosco i senatori del mio gruppo, e so per certo che anche quelli che si riconoscono in posizioni laiche e liberali non si presteranno a fare da stampella a Prodi».
E l’appoggio alla maggioranza non arriverà neanche da Alleanza nazionale. Lo promette Gianfranco Fini: «Ai parlamentari di An dirò quello che ha detto Silvio Berlusconi ai parlamentari di Forza Italia: nessuno dia un sostegno al governo Prodi». Il premier ha voluto varare di fretta i Dico «per dare un contentino alla sinistra radicale e tenerla più quieta sulle questioni di politica internazionale».
Secondo Calderoli i Dico sono un «cavallo di troia» perché appaiono innocui «ma dentro ci sarà la sorpresa del matrimonio gay e di tutto quello che ne consegue».
Così l’opposizione. I voti sembrano quindi affidati tutti alla maggioranza, che al Senato è tutt’altro che forte. I teodem per ora prendono tempo. Per la senatrice della Margherita Paola Binetti il ddl è il miglior testo possibile «in questo momento», anche se si sta già pensando «a emendamenti migliorativi», e l’acronimo scelto al Consiglio dei ministri, Dico, «ci piacerebbe che fosse Didoco in riferimento ai diritti-doveri dei conviventi».
Ma c’è la sinistra radicale, scontenta per altri versi: «Il testo è una mediazione al ribasso, al Senato dovremo rovesciarlo come un calzino», minaccia il senatore Gianpaolo Silvestri, responsabile dei diritti civili dei Verdi. E il calzino inizia a essere davvero troppo corto.
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