Qualche anno fa sarebbero stati presentati in modo scontato: così uguali, così diversi. Poi da Barcellona arrivò il germe del “guardiolismo” e tutti ne risultarono contagiati lasciandosi incantare dall’idea che sarebbe stato possibile replicare la scelta ardita del Barcellona nella Torino juventina e nella Milano rossonera incassando calcio spettacolare e risultati à go-go. Per fare un passo avanti rispetto a Pepp Guardiola, quei due così uguali e così diversi, Ciro Ferrara e Leonardo insomma, furono subito accreditati di un destino diverso, nettamente distinto uno dall’altro. Uno atteso dal trionfo scontato, l’altro a un passo dal precipizio. Per il napoletano, uscito dall’addestramento di Marcello Lippi, furono in tanti a non coltivare il seme del dubbio: si farà. Aveva tutto, Ciro, per sfondare: conoscenza del pianeta Juve; il dono di un sontuoso calcio-mercato con due gioiellini, Felipe Melo e Diego, scortati da Cannavaro, Grosso e Caceres; in tasca il diploma di scuola guida calcistica ottenuto sostituendo con successo Ranieri nelle ultime domeniche del torneo precedente. La partenza, a fine agosto, fu sprint e Ciro fece incetta di lodi.
Per il brasiliano, il coro dei critici fu unanime: è un autentico azzardo scrissero e sentenziarono in tv. Non gli veniva riconosciuto alcun talento se non la parentela stretta col Milan e la fiducia di Berlusconi e Galliani. Mentre Ciro si distendeva al mare, a lui toccava studiare sui banchi di Coverciano: aveva bisogno anche del patentino per sedersi sulla panchina prestigiosa occupata da santoni tipo Sacchi e Capello. Poi avrebbe dovuto arrangiarsi, come facevano le mamme di una volta in cucina: l’azionista aveva sigillato la borsa. Povero Leonardo: era rimasto senza Kakà partito per Madrid, Maldini, via anche Ancelotti ormeggio sicuro dello spogliatoio, e in cambio non gli era arrivato nessuno dei due nomi suggeriti, Cissokho e Dzeko. Si accontentò, senza protestare, di un americano sconosciuto e di Huntelaar.
L’esordio poi fu terrificante, capace di stendere anche il più esperto dei condottieri: derby perso malissimo, stenti in campionato. E invece Leonardo è uscito dalle curve delle prime partite (raccolti la miseria di 9 punti) per schizzare alle spalle dell’Inter, al secondo posto addirittura, trionfando a Madrid, in Champions. Ha calamitato qualche sincero consenso ma anche qualche stilettata alla schiena, «è solo culo» hanno scritto proprio mentre Ciro è rimasto inchiodato dai mugugni del suo popolo e dagli striscioni della contestazione. E così i destini han cambiato direzione: Leonardo è diventato il predestinato, Ciro il raccomandato. Del milanista hanno scoperto virtù indotte: la vicinanza di uno staff collaudato (leggere Tassotti e milan-lab) più un management competente (Galliani). Dello juventino hanno individuato i difetti opposti: nessun interlocutore che sappia di calcio (Montali, esperto di pallavolo, è finito alla Roma), il bisogno dei consigli e dei suggerimenti di Lippi “papà” per trascinare la Juve fuori dal pantano di una striscia piena di ritardi e contraddizioni, troppi gol subiti, pochi fatti dalle sue stelle.
E ancora. I doni di casa Agnelli, Felipe Melo e Diego, finiti nella sabbia, i più chiacchierati di Milanello, Dida e Ronaldinho, Borriello e Ambrosini rilanciati alla grande. In questi casi, si sa, le esagerazioni sono sempre dietro l’angolo. «Leonardo è diventato il re Mida del Milan», l’ultima. Certo può bastare uno spillone, a Zurigo o con la Samp, per far precipitare tutti giù per terra. «Io so che è iniziato un nuovo Milan diverso e divertente» il sano realismo di Galliani. Non è sufficiente un colpo di reni perché Ferrara riconquisti il credito perduto. Ha davanti due sagome grifagne, Inter e Bayern Monaco: può uscirne stritolato oppure rilanciato.
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