Alessandro M. Caprettini
nostro inviato a Bruxelles
L'euro? Certo, è un problema visto che «non funziona e non corre in quanto manca una politica economica». Ma per Romano Prodi il problema di una Europa che preoccupa ormai più che l'Italia, è un altro: la Turchia. «Serve un ripensamento» rivela al Gazzettino. Più che vederlo nei panni di uno che chiede uno stop, al Professore ben s'attaglia la veste di protagonista della trasmissione del sodale Gad Lerner: L'infedele. Perché fu proprio lui, nel novembre del 2002 in una intervista concessa in parallelo a Repubblica e allo spagnolo Pais, a chiarire come l'allargamento ad Ankara andasse senz'altro perseguito. «Ci vuole pazienza, intelligenza e voglia di avvicinarsi», mise in rilievo. «Ma se non c'è dialogo, ci sarà una tragedia. E comunque bisogna essere fedeli agli impegni assunti».
Appunto. Fedele, Prodi da ieri non lo è più. Eppure è costellata di impegni, dichiarazioni, esortazioni e complimenti nei confronti della Turchia la sua esperienza da presidente della commissione. Certo, dietro ogni suo commento c'era il fatidico dito ammonitore per Erdogan, invitato a rispettare le regole. Ma nella sua uscita di ieri non c'è traccia di una condanna per impegni non rispettati o per regole infrante. Nulla di tutto questo. C'è solo un riferimento all'«allarme profondo» lanciato dai referendum in Francia e Olanda e l'ammissione a sorpresa di come «non ci sono più le condizioni per l'allargamento alla Turchia, a breve o a medio termine».
L'avesse detto quando era ancora alla guida della Commissione, avrebbe sollevato un vespaio. Ma all'epoca si guardò bene dall'intervenire, forse anche perché marcato stretto da Guenther Verheugen, il commissario tedesco - creatura di Schröder - che molto si spendeva a favore dell'inserimento di Ankara. A settembre del 2004, quando Erdogan fece sapere che l'adulterio non sarebbe stato considerato reato - come le frange islamiche pretendevano - proprio Verheugen sancì che non c'erano ormai più ostacoli. Ed al suo fianco Romano Prodi annuì, spiegando che la Commissione sarebbe stata «obiettiva ed equa» nel giudizio sul via ai negoziati di lì a qualche mese.
Un semaforo verde che il governo della Ue accese poco più oltre, ad ottobre. Con il Professore che approfittò dell'occasione per lanciare un nuovo significativo messaggio ad Ankara: «La Turchia - disse allora - deve continuare sulla strada delle riforme perché importanti progressi sono stati raggiunti e il Paese è oggi più vicino alla Ue. La soluzione al problema cipriota - aveva anzi aggiunto rispetto alle obiezioni di chi metteva in evidenza il perdurante contrasto tra Nicosia e Larnaka - non è una precondizione all'allargamento, anche se aiuterebbe notevolmente le aspirazioni europee della Turchia».
E sempre in quei giorni, quando ormai poco mancava all'addio alla presidenza della Commissione, il Professore si lasciava scappare che proprio l'operazione «porte aperte» ad Ankara era «l'ultima grande decisione della mia commissione».
Vatti a immaginare che, ad appena sei mesi da quelle parole, Prodi decida di entrare a gamba tesa sui turchi. E non solo su di loro.
E infatti per lui il problema è «l'allargamento». Buffo, da parte di chi si è messo una medaglia per aver disposto l'accesso dei nuovi 10, un anno fa. E ancor più buffo se si pensa che appena nel febbraio di quest'anno, il Professore andava sostenendo che «con l'allargamento della Ue abbiamo esteso e garantito un presente ed un futuro di pace, libertà e sicurezza a 450 milioni di uomini e donne che diventeranno 500 con l'ingresso di Bulgaria, Romania e Croazia. E i negoziati con la Turchia, la riconosciuta vocazione europea degli altri stati balcanici, l'aspirazione di altri paesi come Ucraina e Georgia sono la testimonianza più forte della attrazione della Ue».
Parole, tutte queste, da far finire al più presto in uno scantinato. Il Prodi di oggi chissà se si riconoscerebbe in quello che negava che gli europei fossero anti-turchi ed esortava semmai a «rispettare le regole». Di sicuro ha cambiato un modo di dire: un paio d'anni fa rivelò di aver spifferato al suo interlocutore di Ankara come in Italia in tempi andati fosse uso dire «Mamma li turchi» quando si era in presenza di qualcosa di terribile, a dimostrazione di come i tempi fossero cambiati.
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