Luca Telese
da Roma
La prima cosa che ti colpisce sono le domande. In un Paese in cui la stampa è troppo spesso cloroformizzata o compiacente, lintervista di due giornalisti del settimanale tedesco Die Zeit a Romano Prodi dovrebbe essere acquisita come testo da manuale di giornalismo. Domande secche, mai accattivanti, dirette e ragionevolmente sgradevoli. Giovanni Di Lorenzo e Birgit Schonau chiedono al nostro premier quello che pochi in Italia hanno lopportunità o il desiderio di domandargli. Lo fanno come due chirurghi della notizia e così ne saltano fuori scintille e polemiche: 22 domande e dieci possibili titoli, gli alleati della sinistra dellUnione in rivolta per le battute sul «folclore comunista», pioggia di rettifiche (già dopo le prime anticipazioni) sulla definizione di Silvio Berlusconi «schiavizzatore dellItalia» (era anche il titolo di La Repubblica, Die Zeit ha confermato) e piccole perle di teutonica cattiveria come la domanda sul partito democratico premessa da un: «A parte il fatto che non sappiamo nemmeno a quale partito lei appartiene...». Se glielo avesse chiesto un italiano il premier si sarebbe sicuramente alzato per andare via. Invece ha risposto: «Siamo in procinto di fondare il partito demcoratico, e non è affatto unutopia...». Meraviglioso.
Come meraviglioso è laltro avvertimento prodiano (diretto agli alleati più che agli oppositori): «Tutti hanno chiara la situazione: via io, via il governo. Se il governo cade resteremo i prossimi 60 anni all'opposizione». Fin dalle prime ore era in rete il salace commento dellazzurro Fabrizio Cicchitto: «È preso da una sorta di delirio napoleonico!». Un altro senatore di Fi, Lucio Malan ironizzava: «Nelle sue parole cè una miscela di estremismo e di arroganza». Solo polemiche di centrodestra? Nelle ore successive si scopriva che anche nellUnione queste frasi non erano propriamente scivolate sul velluto. Ad esempio quando Fosco Giannini, capogruppo del Prc in commissione Difesa del Senato, dava voce allo sconcerto di Rifondazione: «L'affermazione di Prodi secondo la quale noi saremmo solo folklore, è assolutamente priva di senso, arrogante e insultante nei confronti delle comuniste e dei comunisti». A stretto giro di posta arrivava anche una dichiarazione del segretario del Prc, Franco Giordano: «Leggo che Prodi ha smentito gran parte dellintervista. Sarebbe meglio se fossero smentite anche le frasi che ci riguardano». Detto dal principale alleato di governo, da un dirigente politico che di solito non spreca parole è quasi un ultimatum.
E non è irrilevante che in rete ci fosse già una dichiarazione preoccupata anche di Marco Rizzo, numero due del Pdci: «Sarebbe utile una smentita diretta. Il senso di lealtà per la coalizione non può essere ridicolizzato». E che dire di Manuela Palermi, capogruppo di Pdci e Verdi al Senato, una solitamente animata da sentimenti ulivisti? «Sono parole irrispettose e volgari - dice - relegare nelle categorie di innocuo e folckloristico il comunismo, e in questo caso il comunismo in Italia, è sbagliato storicamente e ingeneroso». E ancora: «Credo necessaria una smentita o correzione dello stesso presidente». Insomma, unira di Dio. A cui si aggiungevano contrappunti surreali, come lazzurro Giorgio Lainati che difendeva la dignità «di tre milioni e mezzo di voti comunisti», e del comunista antibertinottiano Marco Ferrando che sosteneva il Professore: «Ha ragione, i comunisti di governo sono accomodanti».
A metà pomeriggio la frana diventava una valanga: Sandro Bondi arrivava a chiedere un dibattito parlamentare sullintervista, tutta Rifondazione, compreso il capogruppo a Palazzo Madama Giovanni Russo Spena pretendeva una nuova smentita. Lazzurra Chiara Moroni cantava vittoria: «Le parole di Prodi sono la prova che avevamo ragione sui suoi alleati radicali». Ma alle 17.48 Palazzo Chigi capitola: «Prodi non ha mai usato l'aggettivo folkloristico in riferimento ai due partiti dell'Unione Prc e Pdci». Diffonde il testo integrale. E si scopre che di mezzo cerano puntini sospensivi e mezze frasi. I politici hanno abituato i giornalisti italiani a pesare le virgole. Ma a quanto pare non quelli tedeschi. In serata, da Firenze, il Professore torna sullargomento: «Trovo difficile parlare di una polemica che non è mai esistita».
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