La difficile arte di addomesticare la sfera di cuoio

Prima ancora che il calcio, nato nell’Inghilterra vittoriana attorno alla metà del XIX secolo, imponesse un modello «universale», l’Europa giocava a palla con le mani e in Italia, in particolare, faceva da padrone il gioco del «pallone col bracciale» (o «pallapugno»). Nato nelle corti rinascimentali, fu praticato dapprima da signori e da aristocratici nelle arene dei palazzi nobiliari e poi da borghesi e da popolani sulle piazze acquisendo una popolarità straordinaria. Soprattutto nel Sette e Ottocento fu lo sport protagonista, soprattutto nell’Italia centrale e del nord. L’abilità dei giocatori, nell’«addomesticare» con un pesante attrezzo di legno irto di punte (bracciale) una sfera di cuoio e scagliarla con precisione e forza da una parte all’altra di un rettangolo da gioco, estasiava le folle. Tra la fine del Settecento e gli inizi del secolo successivo, con la costruzione di impianti specifici («sferisteri»), con la codificazione delle regole, con l’organizzazione delle partite e il propagarsi del professionismo, assurse al ruolo e all’importanza di sport nazionale. Poi, nel Novecento - a causa della concorrenza soprattutto del calcio e del rugby - con tempi più o meno diversi a seconda delle varie zone, avvenne il declino di questo sport che continuò, però, a vivere in alcuni centri delle Marche e della Romagna.

Nel 1992, grazie ad alcuni appassionati, si è costituito il Comitato Nazionale del Gioco del Pallone col Bracciale, con lo scopo di promuovere il recupero storico e culturale del pallone attraverso mostre, convegni e pubblicazioni e di propagandarne l’aspetto agonistico mediante l’organizzazione di partite dimostrative, di tornei e di un campionato nazionale.

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