Siamo ovviamente d’accordo con il ministro Angelino Alfano: non bisogna enfatizzare gli applausi diretti ai mafiosi, martedì scorso indirizzati a Giovanni Tegano e ieri a Salvatore Messina. Però non bisogna nemmeno sottovalutarli, pensando che siano la ribalda espressione di solidarietà di quattro gatti sospetti, nella migliore delle ipotesi, di concorso esterno in associazione mafiosa. Sicuramente nessuno della claque è un picciotto e probabilmente nessuno di loro ha mai avuto direttamente a che fare con quegli «uomini di pace», come ebbe a chiamarli una delle donne che inneggiavano a Tegano. Ma in quei boss, in quei padrini - e proprio definendoli così, «uomini di pace» - essi vedono l’anti Stato di uno Stato col quale si sentono in guerra. Ciò che li anima e che li induce a uscire allo scoperto - ad applaudire in faccia alle forze dell’ordine, in quella circostanza più che mai immagine dello Stato - non è compiacenza mafiosa. È professione della loro militanza eversiva. Per il comune cittadino la mafia non costituisce una minaccia, non è compresa fra le cause del malessere di vivere come invece è la criminalità dedita al furto, alla rapina, allo scippo, alla violenza. La mafia, è stato detto e scritto in tutte le salse, colpisce principalmente lo Stato arrivando a inquinare, quando glielo si concede, la politica. È dunque comprensibile, anche se non giustificabile, che qualcuno veda in Cosa nostra un poderoso grimaldello per scardinare le istituzioni.
Sotto questo aspetto, quanti si son presi la briga di scendere in strada per applaudire dei criminali trasfigurati in «uomini di pace» dovrebbero destare maggior preoccupazione che non se fossero dei riconoscenti clientes di questa o quella cosca mafiosa venuti a dare la loro solidarietà al boss. Ciò che consiglierebbe di non fargliela passare così liscia come invece la passano. L’applauso, anche se rivolto a un delinquente ammanettato o a un recluso condannato all’ergastolo per omicidio, non costituisce reato penale, ma sociale sì. Si ha un bel sostenere che «per qualcuno che applaude - come dice il ministro Alfano - c'è la gioia silenziosa di milioni di italiani onesti» nel sapere quel mafioso in carcere e quell’altro catturato. Il fatto è che con il loro fare quei «qualcuno» umiliano e addirittura insultano gli altri silenziosi «milioni». Bisogna allora far qualcosa che serva a rintuzzare l’arroganza dei plauditores e per affermare il primato dell’etica civile compromessa dalle chiassose manifestazioni di tifo, così come quelli della curva sud gli ultrà degli applausi mafiosi potrebbero per esempio esser sottoposti al Daspo, il provvedimento giudiziario che vieta l’accesso alle manifestazioni sportive e che andrebbe allargato anche alle pubbliche apparizioni di rappresentanti della criminalità organizzata tradotti in manette.
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