Il dilemma delle proprie origini Ecco chi cerca la madre biologica

Anche se fatta in età avanzata la scoperta di essere stati rifiutati dai genitori naturali è un trauma che apre un bivio: cercare le propria identità o dimenticare

Se sai cambia tutto. È tutto un fare i conti con un passato che non c’è, senza memoria. Niente foto, niente primo sorrisino, niente taglio del cordone ripreso dalla telecamera che papà tiene nervosamente in mano. Nessun fiocco appeso sul portone di casa. Niente.
È vuoto, è nero è confuso. Spazio che non si può riempire, che fa girare la testa, che fa venire le vertigini, nausea. E poi, nessuno che si ricordi di te. Quella domanda che striscia insistente e non lascia tregua: «Di chi sono figlio?». Infermiere, assistenti sociali, direttrici di istituti: con un po’ di fortuna resta impresso nella memoria il volto del bambino, ma niente di più. Ti sentirai sempre uno senza storia. Poi la vita a un certo punto inizia. I primi scatti, memoria fotografica che si compone, prende forma. È la scelta di una coppia che fa la differenza, una mamma e papà. È come diventare figlio per la prima volta. A 8 anni, 12, 5. Non importa. Inizia una vita nuova. «Sono figlio di chi mi ama e non di chi mi ha fatto». Silvia oggi ha 28 anni, una mamma e un papà rassicuranti, che le hanno detto subito tutta la verità. Nessun giro di parole, nessuna cicogna piovuta dal cielo.
Ma qualcosa di non definito comunque resta. È il senso di identità che manca, che con molta più fatica si cerca di costruire, di rintracciare. È il destino dell’uomo, il domandarsi l’origine, il senso delle cose, è la necessità di far quadrare il cerchio, di inserire le pietre nel mosaico per capire meglio se stessi. Sono paure, speranze fantasie, sogni che si mescolano e si confondono tra loro, l’idea del sangue del proprio sangue, questione di vita e viscere, legami e appartenenze, talenti e attitudini. Manuela ha 27 anni e vive a Verona: «Ho due genitori fantastici ma sapere veramente chi sei, da dove vieni, cambia tutto. È una sensazione troppo forte. Sono 20 anni che ci penso. Non pretendo niente dalla mamma biologca, voglio solo capire».
Immaginazione che corre e che frena perché aggrappata al senso di realtà garantito da una casa, da persone reali. Sandro, adottato all’età di cinque anni racconta: «In quegli anni mi chiedevo davvero perché chi mi aveva messo al mondo non mi avesse tenuto. Questo momento di crisi se n’è andato così come è venuto e non ho più sentito il bisogno di sapere chi fossero quelle persone. Certo, il sapere di essere stato abbandonato è un pensiero che ti turba. Ma io sono stato fortunato».
Molti si nascondono dietro a un apparente senso di menefreghismo, altri dicono di essere indifferenti, altri si aggrappano e si concentrano sull’amore che ricevono dai genitori adottivi. Eppure. Eppure quella domanda sull’identità ritorna, magari a tradimento, quando meno te lo aspetti, come un lampo, la domanda riaffiora e si insinua leggera e pressante e allora ti ritrovi a pensare alle somiglianze, il colore degli occhi, il profilo. La ricerca della propria origine resta come una necessità chiusa dentro, in fondo nell’anima. Una scatola che resta ben sigillata con un coperchio troppo pesante per essere sollevato. «Personalmente - racconta Graziella - ho sentito subito il bisogno di conoscere le mie origini familiari fin da quando ero piccola. Ho sempre fatto molte domande, ma ho dovuto rassegnarmi al difetto delle risposte sempre insoddisfacenti di coloro che mi amavano. Questa sensazione di imperfezione e di manchevolezza era comunque sempre accompagnata dal forte timore di incontrare realmente la mia famiglia biologica e di dovermi confrontare con delle persone emarginate e problematiche certamente diverse da quelle idealizzate». Valeria confessa: «Io so di volerla toccare, vederla per ritrovare qualcosa di me e sentire continuità. Questo mi tormenterà finché non l’avrò trovata, ma so che alla parte più infantile di me questo non basta. Quella parte di me vorrebbe una madre, una donna che capisca che ho sofferto per l’abbandono e che soprattutto colmi con il suo affetto il vuoto».
E c’è chi come Matteo ha paura. Il passato è un mondo sepolto. «Sono anch’io in adozione dall’età di 2 anni e ora ne ho 35. Per varie vicende che non vale la pena di specificare ho avuto notizie dei miei genitori naturali più volte nel corso della mia vita.

E, davvero ne avrei fatto a meno. Per esperienza diretta so che nulla di ciò che può essere detto, fatto o spiegato può cambiare minimamente il senso che abbiamo di noi. Non completa la nostra identità. Io di famiglia ne ho una sola: la mia».

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