Mediobanca, schiaffo dei soci. L'era Nagel vicina al capolinea

L'assemblea ha bocciato a larga maggioranza la scalata su Banca Generali. Il ceo l'aveva pensata contro l'Ops di Siena. Anche Unipol ha preso le distanze

Mediobanca, schiaffo dei soci. L'era Nagel vicina al capolinea
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Il verdetto dei soci contro la proposta di Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, è stato persino più duro delle previsioni. L'operazione Banca Generali, ovvero l'alternativa difensiva pensata dal banchiere per sfuggire alle mire di Mps, si è schiantata contro la volontà del mercato che ha negato il suo assenso con un esito piuttosto netto: i voti favorevoli alla proposta concepita da Nagel si sono fermati al 35,4% del capitale. Astenuti e contrari, che ai fini del voto sono la stessa cosa, si sono attestati rispettivamente al 32,1 e al 10,5 per cento. Nel plotone degli astenuti figurano il circa 20% di Delfin, la holding dei Del Vecchio guidata da Francesco Milleri, il 5% delle Casse previdenziali italiane (Enasarco, Enpam, Forense), il 3% degli investitori istituzionali (Amundi, Anima, Tages), il 2% di Edizione Holding e quello di Unicredit. Il 10,5% dei contrari fa capo quasi totalmente al gruppo Caltagirone.

Un verdetto che avvicina di più ancora la fine dell'era Nagel, che vede sgretolarsi sotto ai suoi piedi un governo sulla principale banca d'investimenti italiana durato 18 anni. Peraltro, un esito opposto, avrebbe probabilmente solo ritardato un destino che con il passare dei mesi sembrava sempre più segnato, dal momento che l'Offerta pubblica di scambio di Mps va avanti ed è pressoché certa che raggiungerà il 35% fissato (a questo punto è lecito aspettarsi che andrà ben oltre il 40%) per andare in porto e quindi, a cascata, generare un cambio al vertice in modo naturale.

Il commento di Nagel, una volta appreso l'esito dell'assemblea, è amaro e si scaglia essenzialmente contro i soci Delfin e Caltagirone, gli avversari storici sui quali fino a oggi il dominus di Mediobanca aveva sempre prevalso. Si tratta di "un'opportunità mancata per effetto del voto espresso, in particolare, da azionisti che, anche nell'attività di engagement, hanno manifestato un evidente conflitto di interesse, anteponendo quello relativo ad altre situazioni/asset italiani a quello di azionisti di Mediobanca", osserva Nagel, che invece ringrazia "tutti coloro che in questi anni hanno creduto e sostenuto il processo di forte crescita e trasformazione di Mediobanca e che hanno supportato l'operazione Banca Generali come ulteriore e definitivo tassello nella creazione di un Wealth Manager di respiro internazionale". Poi la stoccata finale: "Risulta, infatti, evidente dal voto che coloro i quali non si sono trovati in questa posizione si sono espressi a favore (mercato in primis), in linea con le raccomandazioni dei proxy advisors internazionali". Il numero uno di Piazzetta Cuccia ribadisce inoltre di voler continuare nella realizzazione del suo piano industriale, ma pare più una posizione di maniera poiché, a meno di eventi imponderabili, il suo sentiero ormai conduce verso l'uscita di scena. Anche se, fonti di Mediobanca, smentiscono come prive di fondamento le ricostruzioni di un Nagel prossimo alle dimissioni.

La sensazione da fine impero però è catturata da una diapositiva: uno dei più solidi sostenitori di Nagel, il Gruppo Unipol, ha venduto da qualche settimana la sua quota del 2% e dunque non ha votato all'assemblea di ieri sull'offerta per Banca Generali. Fino al 16 giugno, quando doveva tenersi l'assemblea poi rinviata al 25 settembre e infine anticipata a ieri, il gruppo guidato da Carlo Cimbri era pronto a votare la proposta di Nagel.

Tuttavia, quando la Bce ha approvato l'Ops di Mps su Piazzetta Cuccia anche al raggiungimento della soglia di adesioni del 35%, i vertici della compagnia assicurativa hanno deciso per l'uscita. Una scelta analoga a quella presa da Massimo Doris, capo di Mediolanum, che a fine giugno aveva salutato il patto di consultazione con la vendita del 3,5% in mano alla sua famiglia.

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