Dini: «Pensioni, lo scalone di Maroni non si tocca»

Una decisione evitabile. Viene calcolato tra le entrate, mentre è chiaramente un debito

Dini: «Pensioni, lo scalone 
di Maroni non si tocca»

Roma - E' il «padre» della riforma previdenziale più amata dalla maggioranza. Il punto di riferimento dell’Unione sulle pensioni. Eppure, per Lamberto Dini quella del 1995 è una riforma da completare. Con l’aumento dell’età pensionistica di anzianità per gli uomini, ma soprattutto per le donne; fino al tetto dello «scalone» Maroni. «D’altra parte - commenta - l’ha detto anche il presidente dell’Inps: la spesa pensionistica è sostenibile solo con la revisione dei coefficienti di calcolo dell’assegno e con l’allungamento a 60 anni dell’età di uscita dal mondo del lavoro. E sono convinto che Tommaso Padoa-Schioppa si batterà per introdurre un allungamento dell’età pensionistica d’anzianità».
Quindi non può essere d’accordo con le soluzioni prospettate da Rifondazione comunista?
«Credo sia riduttivo dire: essere d’accordo, non essere d’accordo. Nelle proposte di Prc ci sono soluzioni che, prese singolarmente, possono essere valide da un punto di vista sociale. Per esempio, chi può essere contrario all’aumento delle pensioni minime? Nessuno. Il problema è: come finanziarle. Ecco, credo che su questo punto, lo schema di Rifondazione sia poco chiaro. Il loro progetto è carente sul fronte dei risparmi. In altre parole, non dà garanzia di sostenibilità della spesa previdenziale».
Lo schema prevede di «coprire» i maggiori costi con il recupero dell’evasione...
«Ma andiamo... Dicono di far diventare l’evasione contributiva un reato penale. Ma se nemmeno l’evasione fiscale è più un reato penale... Come si fa a proporre cose del genere...».
Vogliono anche eliminare la revisione dei coefficienti previdenziali...
«Se è per questo, dicono anche di voler “saldare” i buchi contributivi. Quando venne prevista la revisione dei coefficienti di calcolo dell’assegno previdenziale, si contava che l’età pensionistica d’anzianità sarebbe arrivata a 62 anni. Oggi, invece, siamo ancora fermi a 57 anni. Ne consegue che, senza aumento dell’età pensionabile, abbassare i coefficienti non è sufficiente a dare sostenibilità al sistema. In più, solo la revisione dei coefficienti senza aumento dell’età, finirebbe solo per ridurre il potere d’acquisto ai futuri pensionati. Solo così ci potrebbero essere i risparmi per “saldare” i buchi contributivi... Iniziativa condivisibile, ma a quale prezzo? Stesso discorso vale per l’aumento delle pensioni minime. Un conto è dire quello che si vuole. Il problema è che bisognerebbe anche indicare “come” si vuole raggiungere, e con soluzioni percorribili».
Perchè è così sicuro che Padoa-Schioppa aumenterà l’età pensionabile d’anzianità? Nemmeno lui ne fa più cenno. Eppoi si dice che ai tempi della Banca d’Italia non andavate particolarmente d’accordo...
«Ho sempre avuto un buon rapporto con Padoa-Schioppa, anche ai tempi della Banca d’Italia. All’epoca c’era forse un po’ di concorrenza e di competizione fra noi, ma i rapporti sono sempre stati buoni. Gli sono grato per la Finanziaria che ha fatto: ha garantito la discesa del deficit sotto il 3%. Certo, poi, ho la sensazione che abbia subito qualche pressione per gonfiare così la manovra, oltre agli interventi di correzione strettamente necessari».
Fra gli interventi che hanno gonfiato la Finanziaria mette anche l’operazione sul Tfr?
«Beh, quella è un’operazione che certo non aiuta la previdenza complementare. Sono convinto che, a giugno, scopriremo che saranno pochi i lavoratori dipendenti che lasceranno all’Inps il proprio Tfr. In più, Padoa-Schioppa l’ha dovuta calcolare fra le entrate, mentre è chiaramente un debito. Sinceramente ne potevamo fare a meno. Anche i 7 miliardi di maggiori entrate stimati dalla lotta all’evasione fiscale mi sembrano un po’ tanti. Certo, avendo come viceministro un “mastino” come Visco è possibile che qualche contribuente provi a essere più onesto con il Fisco».
E perché è certo che Padoa-Schioppa punterà all’aumento dell’età pensionabile?
«Perché non credo che si voglia smentire...».
Prego?
«Il governo, su proposta di Padoa-Schioppa, ha scritto nel Dpef che il Paese ha bisogno di quattro riforme. La prima era quella delle pensioni. L’ha scritto lui. Per questo sono sicuro che si batterà per introdurre un aumento dell’età pensionistica di anzianità. Se non lo facesse, verrebbe meno alla sua stessa credibilità. Eppoi, è un uomo che sa come funzionano i sistemi economici internazionali. Se in Germania, con un sistema produttivo migliore del nostro, si va in pensione a 65 anni, perché da noi si deve andare in pensione a 57 anni? Chi si ritira a quest’età - a parte chi è stato negli altoforni o nelle catene di montaggio - non va ai giardinetti.

Si cerca un altro lavoretto, magari “in nero”. E questo governo deve difendere chi va a fare il lavoro in nero? Per questo sono convinto che l’età pensionabile di anzianità deve confermare lo “scalone” della riforma Maroni».

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