Cultura e Spettacoli

Dire «assolutamente»? Assolutamente mai, in assoluto

Dire «assolutamente»? Assolutamente mai, in assoluto

Fateci caso: alla radio, alla tv, per strada, l’avverbio più in voga è «assolutamente». Per acquistare un senso, dovrebbe essere seguito da un rafforzativo: insomma, da un sì, da un no, da un aggettivo. Invece, fai una domanda, chiedi un parere su un film, un libro, una trasmissione tv, e la risposta è sempre la stessa: «Assolutamente». Assolutamente cosa? «L’italiano non è l’italiano: l’italiano è il ragionare», scandiva Volontè in una scena di Una storia semplice, tratto da Sciascia. Purtroppo, non per fare i puristi col cipiglio, la lingua si sta restringendo, e di molto, se è vero che un adolescente in età da liceo non usa più di 700 parole. Non che gli adulti siano migliori. Arrivano sms sfregiati da errori che un tempo il maestro elementare avrebbe dichiarato «blu». Che so, un po’ scritto con l’accento (pò), un amico e qual è con l’apostrofo (un'amico e qual'è), e via smarronando. E a non dire degli sfondoni anche buffi che avrebbero deliziato Age & Scarpelli: giardino prensile invece che pensile, sine die pronunciato all’inglese (sain dai). Tu lo fai notare, magari sorridendoci sopra, e finisci col fare la figura del pedante.
Del resto, per tornare all’orribile «assolutamente», il vezzo riguarda anche i colti. L’altro giorno, intervistata su Radiotre da Marino Sinibaldi, la romanziera yé-yé Grazia Verasani, quella di Quo vadis, baby?, ha ripetuto l’avverbiuccio almeno cinque volte in venti secondi. Lei rimpiange le lattine prese a calci all’alba in piazza Maggiore e gli indiani metropolitani.

I bolognesi, magari, assolutamente no.

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