Politica

Il direttore-confessore laico che lanciò Ruini in Vaticano

Il ritratto di Dino Boffo, da regista delle nomine Cei all'ultima settimana passata senza chiudere occhio. Trattava alla pari coi vescovi e suggeriva i nomi dei preti da promuovere all'episcopato

La decisione finale è stata sua e soltanto sua, ed è stata presa dopo che aveva trascorso una settimana senza quasi chiudere occhio, facendo la spola tra la redazione di Avvenire e la sua casa milanese. Dino Boffo, 57 anni, da quindici direttore del quotidiano cattolico, l’ideatore di Sat 2000, la tv satellitare della Cei, l’uomo chiave della strategia mediatica ma anche politico-culturale della Chiesa italiana, esce - parzialmente - di scena.

Nato ad Asolo, nel cuore del Veneto bianco, quello di San Pio X e del beato vescovo Giacinto Longhin, impegnato nel mondo dell’associazionismo cattolico trevigiano, dopo la laurea in Lettere classiche diventa, nel 1977, segretario generale dell’Azione cattolica, incarico che ricopre fino al 1980. La sua presenza a Roma coincide con il cambio di pontificato: si chiude quello travagliato di Paolo VI, si apre quello di Papa Wojtyla. Quando, nel 1981, cambia il presidente dell’Ac, e Mario Agnes viene sostituito da Alberto Monticone - il primo guardava alla Dc moderata, il secondo era espressione del cattolicesimo democratico - Boffo è uno dei candidati. Poco dopo viene richiamato a Treviso, dal vescovo Antonio Mistrorigo, che gli affida la direzione del settimanale diocesano La Vita del Popolo. In quegli anni Boffo, interprete della nuova stagione wojtyliana e propugnatore di una maggiore presenza del laicato cattolico nella vita culturale e politica del Paese, fa parte di un’ala movimentista e critica rispetto alla presidenza Monticone, che non disdegna di collaborare con i «fratelli separati» di Cl. Decisivo è lo spartiacque del convegno ecclesiale di Loreto, che nel 1985 segna nella Chiesa italiana, nei suoi uomini e nelle sue strutture il cambio di pontificato. Dino Boffo è amico ed estimatore di un colto monsignore di Reggio Emilia, da poco vescovo ausiliare: Camillo Ruini. È Boffo, che ha ottime entrature nella Segreteria di Stato di Giovanni Paolo II, a far conoscere Ruini in Vaticano. Di lì a poco il prelato viene scelto da Wojtyla per la segreteria della Cei, alla cui presidenza il Papa ha voluto mettere il suo Vicario, Ugo Poletti.

Ruini e Boffo mettono a punto una nuova strategia di presenza dei cattolici in Italia. Il primo nel 1991 diventa presidente dei vescovi e succede a Poletti come Vicario del Papa; il secondo arriva ad Avvenire, diventandone direttore nel 1994. Il quotidiano cattolico è in sofferenza, Boffo lo rilancia, facendone la punta di diamante e del nuovo progetto: non più un quotidiano contenitore, talvolta un po’ grigio, dove devono trovare uguale spazio e presenza tutte le anime del cattolicesimo italiano, ma un laboratorio di idee. Più che seguire e raccontare la vita delle comunità ecclesiali, dà loro la linea, offrendo anche ampio spazio alle notizie internazionali dimenticate dalla grande stampa nostrana.

Le considerevoli possibilità economiche che arrivano alla Chiesa italiana grazie all’otto per mille, permettono la nascita del network Radio inBlu e della Tv satellitare. Boffo dirige tutto. Ma è più di un direttore di testate e programmi giornalistici. Grazie all’amicizia e alla grande stima di cui gode presso Ruini, partecipa a molte decisioni che riguardano la vita dei cattolici nel Belpaese. Dopo la fine della Dc, con la nascita della Seconda Repubblica, i cristiani sono presenti in entrambi gli schieramenti. La Conferenza episcopale, governata con mano ferma dal porporato emiliano, scende in campo direttamente, cerca consensi trasversali per i progetti di legge che le stanno a cuore, interviene sui temi eticamente sensibili, propone l’astensionismo al referendum sulla fecondazione assistita. Il direttore di Avvenire tratta alla pari con i vescovi, suggerisce nomi di preti da promuovere all’episcopato, incarna la linea culturale vincente che segna la perdita di influenza del cattolicesimo democratico. La stima professionale per Boffo è unanime, anche se molti gli rimproverano un carattere difficile, che lui stesso nella lettera di dimissioni definisce «non sempre comodo». E in quindici anni di direzioni - dalla carta stampata all’etere - sono tanti i rancori, le dicerie, i veleni che sfiorano la sua scrivania. Capace di grandi slanci di generosità, è rimasto storico il crollo psicologico che ebbe la sera del 2 aprile 2005, apprendendo la notizia della morte di Karol Wojtyla. Un crollo avvenuto dopo giorni di insonnia passati a seguire l’agonia del Pontefice polacco, che causò un ritardo nel mettere in pagina l’annuncio ferale, comparso soltanto sulla seconda edizione del quotidiano cattolico. Come se il direttore non avesse voluto credere alla scomparsa di quel Papa che aveva segnato la sua storia personale e professionale.

Anche dopo il cambio di pontificato - con l’elezione di Benedetto XVI che lo coglie di sorpresa - e la successione di Bagnasco a Ruini, Dino Boffo conserva intatto il ruolo di consigliere stimato, ascoltato, influente.

Dimessosi dalla guida dei tre media Cei, l’ormai ex direttore non va in pensione: rimane al momento nell’Istituto Toniolo, che amministra l'Università cattolica e nella struttura per il Progetto Culturale, guidata da Ruini.

Commenti