Dirsi ciao senza tabù

Esiste lo spazio per un partito di estrema destra con percentuali superiori a quelle dei partitini di oggi? È da quando il Msi si è trasformato in Alleanza nazionale che ogni tanto spunta questa domanda. Guardiamo fuori dall'Italia. A partire dagli anni Ottanta in molti dei sistemi politici dell'Europa occidentale sono nati partiti politici qualificabili di estrema destra, con programmi molto aggressivi e leader molto carismatici. È successo ad esempio in Norvegia, in Svezia, in Danimarca, in Belgio, nel 2000 in Austria con l'esplosione del fenomeno Haider, persino in Gran Bretagna con gli antieuropeisti nel 2004. Per non parlare dell'Europa orientale, dove l'estrema destra è un attore politico stabile nella maggior parte dei Paesi di nuovo ingresso nell'Unione Europea. Del Front national di Jean-Marie Le Pen, emarginato dalla destra «repubblicana», da quindici anni dato per spacciato prima di ogni campagna elettorale, ricordiamo la sorpresina elettorale consegnata ai socialisti di Jospin alle presidenziali del 2002. E questa volta, il vecchio ufficiale dei parà arriva ai box di partenza della competizione elettorale con i sondaggi che gli accreditano circa il 20%. Un quinto degli elettori, non frattaglie trascurabili.
In Italia, invece, fino ad oggi i partiti alla destra di An si sono dimostrati scarsamente capaci di incidere sul quadro politico, se non saltuariamente in funzione di guastafeste delle campagne elettorali del centrodestra, come nel caso dei cinquanta seggi scippati nel 1996 dall'Ulivo in ragione della mancata desistenza del Polo delle libertà con Pino Rauti o della lotta all'ultimo sangue condotta da Alessandra Mussolini contro Francesco Storace alle regionali del Lazio l'anno scorso. Adesso è il turno proprio di Storace, dopo la sua estromissione-lampo dall'esecutivo di An, che agita le acque minacciando - pare - una nuova scissione a destra. Negli ultimi mesi, l'ex Epurator ha contestato la strategia di approdo nel Partito popolare europeo stabilita da Gianfranco Fini. L'accusa è di lasciare libero a destra un terreno elettorale che altri in futuro potranno presidiare.
Un'annotazione plausibile, che però ha il torto di confondere un dato fisiologico del bipolarismo con una scelta politica avventata. Com'è noto, i bipolarismi maturi favoriscono, anche in ragione del sistema elettorale, la nascita di formazioni radicali al di fuori delle coalizioni che si giocano la partita del governo, con cui queste ultime possono stringere accordi elettorali oppure rifiutare qualsiasi forma di interlocuzione. Nel nostro Paese è successo e succede a sinistra, dove l'arcipelago della sinistra radicale occupa comodamente importanti scranni istituzionali e postazioni strategiche nel governo, e dove soprattutto a nessuno verrebbe in mente di chiedere a Romano Prodi di far fuori Rifondazione comunista per ragioni di presentabilità democratica. Un domani potrebbe succedere a destra. Se ciò fino ad ora non è avvenuto è perché in Italia, per questioni di retaggio storico, siamo stati abituati a far coincidere l'estrema destra con l'area del nostalgismo neofascista, restringendola così alle scarse percentuali del voto «di testimonianza». Nulla vieta, invece, di immaginare che anche da noi si producano le condizioni per l'affermazione di un partito neopopulista, capace di intercettare quel 3-4% di elettori che sui temi della sicurezza, dell'immigrazione, dell'Islam, delle politiche fiscali, del nazionalismo e dello scetticismo verso l'Europa vanno alla ricerca di partiti disponibili a cavalcare battaglie intransigenti, protestatarie, talvolta di opposizione agli schieramenti politici maggioritari. Così, anche il centrodestra avrebbe di fronte non i leader di tanti partitini ma un unico possibile interlocutore, diffuso su tutto il territorio nazionale e non limitato al solo radicamento padano della Lega.

Certo, considerando la grande rissosità e la tendenza allo scissionismo che contraddistinguono l'estrema destra italiana (nel 2004 il tentativo di costruire una «cosa nera» è durato solo qualche mese), sembra difficile pensare nel breve periodo a improvvise convergenze in un unico partito. Ma se dovesse accadere, sarebbe un fattore di semplificazione del nostro sistema politico, e un fattore positivo per la stessa tenuta della democrazia. Senza scandalo per nessuno.

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