La disfatta del Bocchino furioso

Il discorso con la bava alla bocca del capogruppo finiano spacca il partito e spinge i moderati verso il Pdl. E' la sua Waterloo politica: dopo mesi di insulti, bugie e veleni, oggi è il primo artefice del tracollo futurista

La disfatta del Bocchino furioso

Roma - Quello sulla sfiducia al governo doveva essere per Italo Bocchino il discorso della vita. È stato invece la Waterloo dell’arrembante parlamentare napoletano.

Bello non si considera neanche lui, ma ieri in Aula, Italo era così brutto da farsi torto. Davanti al teleschermo, mi sono dovuto scansare ripetutamente per evitare gli schizzi di rabbia. Occhi cattivi, voce furente, bava alla bocca. Questa della bava alla bocca è una delle accuse preferite che il giovanotto fa agli avversari nei dibattiti tv per farli uscire dai gangheri. L’ha rinfacciato spesso anche ad Alessandro Sallusti, ma a torto perché il direttore di questo giornale è invece un tipo da ira fredda. In ogni caso, dopo la performance di ieri è un’osservazione che Bocchino non può più permettersi.

Lato estetico a parte, è stata la farloccaggine dell’arringa a impressionare. Specialista in rovesciamenti di frittate, Bocchino ha superato se stesso. Ha avuto la faccia di accusare Cav di ribaltonismo. Sempre che abbia capito bene perché nella concitazione l’oratore ha fatto a pezzi la logica. Ha detto, tra uno sbocco d’odio e l’altro: «Lei raccatta i voti di dieci deputati dell’opposizione per cacciare brutalmente chi è stato eletto con la maggioranza (noi finiani, ndr)». Analizziamo insieme. Sono sei mesi che Gianfranco Fini, Bocchino, Granata, Briguglio e compari attaccano il governo, incolpando il Berlusca di ogni nefandezza. Gli hanno fatto sgambetti parlamentari, lo hanno insultato nei talk show, Gianfry è stato beccato mentre si compiaceva con un pm per le «rivelazioni» del mafioso Spatuzza. E ora Italo fa la vittima perché alcuni deputati si sono schierati col premier, mandando a monte l’intrigo finiano. Ci vuole stomaco e Bocchino, purtroppo per lui e per chi gli deve vivere accanto, ce l’ha. Ma poiché le menzogne hanno le gambe corte, il bugiardo si è dato la zappa su piedi. Grazie alla sua stupidità, ascoltato l’intervento, tre del suo gruppo si sono ribellati e hanno scelto di schierarsi col governo. Due deputate finiane, Catia Polidori e Maria Grazia Siliquini, hanno addirittura votato la fiducia e una di loro è tornata nel Pdl. Il terzo, Silvano Moffa, ha imboccato una via di mezzo che si può così riassumere: il suo cuore batte per il Cav; vota però la sfiducia, chiede che Italo sia cacciato da capogruppo del Fli e infine lascia il partito. Con questo, la pattuglietta del presidente della Camera è azzoppata, divisa e con un futuro incerto. Un capolavoro.
Del patetico voltafaccia di Gianfry & Co., Bocchino è stato l’anima nera. È lui che ha cavalcato la frustrazione di Fini nei riguardi del Berlusca. Individuato il punto debole del capo, ha soffiato sul fuoco spingendolo alla rottura. Aveva a colpo sicuro intravisto il vantaggio che gliene sarebbe derivato: guadagnare visibilità.

Fino a un anno fa, il giovanotto era un perfetto sconosciuto. Quarta fila di An, Italo era in Parlamento da tre lustri senza che se ne fosse accorto nessuno. Agli inizi, si era accodato a Giuseppe Tatarella di cui è stato il portaborse. Alla sua morte, nel 1999, era finito nello stagno dei peones. Fini non lo degnava di uno sguardo e lui, pieno di rancore, si è schierato con Maurizio Gasparri, avversario interno del capataz. Colpito nella vanità, Gianfry gli ha fatto però capire che se non cambiava rotta per lui era finita. Per punirlo, nell’elezione del 2006, lo ha messo in lista in una posizione così defilata da fargli rischiare la trombatura. Capita l’antifona, Bocchino si è adeguato, riacciuffando in extremis il seggio. Da allora, si è steso a tappetino sulle posizioni del principale. Restava comunque un quidam de populo.

L’occasione per far parlare di sé, gliel’ha dato l’astro nascente di Mara Carfagna. Entrata nell’attuale governo, si è notato che nei paraggi della «ministra più bella del mondo» si aggirava un premuroso cicisbeo. Era il nostro Italo. L’intesa era così ravvicinata che si è pensato a un flirt. La cosa sarebbe stata scabrosa perché Bocchino è sposato con Gabriella Buontempo, figlia di un ricco imprenditore napoletano e produttrice tv. Il risvolto rosa non è stato mai chiarito, ma è certo che il rapporto tra Italo e Mara passava attraverso la comune origine campana. Entrambi hanno vasti interessi in zona. Ad accomunarli, era principalmente l’antipatia per Nicola Cosentino, coordinatore campano del Pdl. Sono stati loro a silurarne la candidatura a presidente della Regione con la scusa che era indagato per camorra. Ed è brandendo la bandiera della legalità che Bocchino ha rafforzato, a spese dell’avversario, la sua posizione nel napoletano. Ma senza averne le credenziali. Ad accusare infatti Cosentino è un pentito, tale Vassallo, legato al clan Bidognetti. Costui però, ha chiamato in correità anche Italo, con la seguente dichiarazione: «Bidognetti Raffaele riferì che gli on. Bocchino, Cosentino (più un paio di altri, ndr) facevano parte del nostro tessuto camorristico». Ma di questa macchia, il Nostro se ne impipa e - soprattutto da quando i finiani fanno repubblica a sé - si erge a moralista.

Per questa capacità di somministrare prediche agli altri, facendo lo gnorri sulle proprie magagne, Fini ha eletto Bocchino a clava del suo gruppo. Lo spedisce a sparare panzane, tanto non arrossisce, né si fa l’esame di coscienza. Così, va in tv a fare il killer. Negli ultimi mesi, è stato ospite fisso di Santoro, Floris, Lerner, oltre a concionare di continuo su Repubblica e Il Fatto.

Riporto un paio dei suoi interventi più noti che lo dipingono meglio di tante parole. Prima ancora della scissione finiana, quando era ancora vicepresidente dei deputati Pdl, Italo ebbe un alterco tv col collega di partito Maurizio Lupi. Non riuscendo ad averne ragione, gli disse a freddo: «Voi di Cl siete maestri nel prendere poltrone e vieni fare la morale a me?». Lupi, offeso, replicò: «Dimettiti. Non ti riconosco più come mio vicepresidente». Italo, che quando gli chiedono di lasciare una carica perde il lume degli occhi, sibilò inviperito: «Sei un fascista e squadrista». Caso tipico del bue che dà del cornuto all’asino. Nessuno nei suoi panni avrebbe osato tanto. Ma Bocchino, con questo genere di impudicizie, ci va nozze. L’altro episodio, anch’esso televisivo, è di pochi giorni fa. Era a Ballarò con Gianfranco Rotondi.

Il ministro gli ha ricordato che, se Cosentino ha i suoi guai, lui stesso, Bocchino, era stato accusato (prima di essere assolto, ma resta agli atti una significativa intercettazione, ndr) di illeciti favoritismi verso l’imprenditore napoletano Romeo. Questa la replica, uscita dalla strozza dell’angioletto: «Tu non sai vivere. Me ne ricorderò. Finiscila o te la faccio pagare!». Parlamentare delle Repubblica o guappo?

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