Il derby è delle figurine vincenti. Loro. Stravince l’Inter, vinciamo tutti. Noi. Lui: il calciomercato. Non importa la squadra, ma i sogni: chi compriamo oggi? Passiamo quattro mesi così, poi arriva Milan-Inter alla seconda di campionato e stiamo tutti a guardare: interisti, milanisti, neutrali. Thiago Motta e Milito sono tutti i calciatori comprati, venduti, scambiati. Soldi e desideri. Segnano loro e dietro si portano quest’estate fatta di pochi affari e di molte tentazioni. Poi arriva Maicon, cioè l’unico giocatore al quale Mourinho ha detto: «Se te ne vai tu, vado via anche io». È il trionfo della trattativa. Passa da Sneijder, titolare appena arrivato in Italia, cercato a lungo, voluto, pagato. Mercato, mercato, mercato. La dimostrazione che il calcio è bello anche quando non si gioca, perché siamo tutti presidenti e allenatori con la voglia di andare a scoprire un talento e a immaginare uno schema. Allora Eto’o che si procura il rigore del 2-0 interista sta qua dentro, nel ragionamento di un Milan-Inter che è una partita quasi senza storia, perché Mourinho l’ha vinta negli alberghi dove si sono chiuse le trattative del mercato. Quanto l’ha voluto Motta? Era quello che voleva, era quello che cercava. L’Inter ha puntato su di lui e su Milito, prima di sapere che Ibrahimovic decidesse di andarsene davvero.
È un gioco di ruolo: le carte che scegli ti diranno se vincerai o perderai. Non c’è certezza, ma un’equazione che può riuscire: se spendi bene, funzioni. L’Inter ha tirato fuori milioni incassandone di più e s’è ritrovata più forte di prima. È un disegno, uno schema, la piantina del successo. È la trigonometria del pallone e Mou sembra un architetto. È diverso dall’ingegnere dell’anno scorso: pensava alle fondamenta, al cemento, al ferro. Adesso disegna l’interno: uno, due, tre. Una diagonale per mangiarsi Leonardo. La semplicità fa l’eleganza che stona solo con quella camicia che Mou indossa durante questa partita. L’Inter ha la gente che lo sa fare. L’ha cercata e adesso nessuno parla di Ibra. Lui arriverà tra qualche giorno, con un’altra maglia, con un altro spirito, con un’altra storia. Scoprirà che si può essere sostituiti, grazie al cielo. Per lui e per gli altri. Basta muoversi e provare, trattare con gli altri club e con i procuratori. Serve alla gente che smania dalla voglia di pensare di aver comprato un campione. Milito, Motta, Sneijder, Eto’o, Maicon che non è partito. La partita è qui. La storia è qui. Il campionato sarà qui. Forse. Perché Seedorf era un mago, ma adesso non fa più magie. Che ha fatto Clarence? Il ritardo della sconfitta. Uno che deve entrare perché Gattuso non ce la fa più, però ritarda: non ha le scarpe e la maglia, allora Gattuso resta, sbaglia, fa il fallo da rigore e quello da espulsione. Tre minuti per una sconfitta. Tre minuti. Una piccola eternità che nasconde il segreto di San Siro: vincono i nuovi, perché chi c’è non ha la stessa voglia di chi è appena arrivato.
Questo non è ancora un Paese per giovani, ma cerca la novità. Allora Gattuso non lo è più, scompare in due mosse che sembrano la fine di un’era. Sembrano, poi tornerà. Sotto i suoi piedi cade Sneijder, uno che non era pronto per giocare, ma ha chiesto disperatamente di essere in campo. È la novità che umilia la ripetitività. Ringhio visto così è un fantasma che spaventa se stesso e non più gli altri. Crolla davanti a 80mila persone e davanti a una tv che non gli risparmia neanche il replay dell’espulsione. Crolla davanti agli occhi di Berlusconi. Perché c’è il presidente. Arriva prima di Moratti, prima di altri, prima di molti. È incravattato, nonostante questo sia sport. I maligni avevano detto: «Vedrete che non ci sarà». L’assenza, certo. L’ultima zizzania messa in giro per accendere una attesa strana, sonnolenta, amichevole, da derby non derby. L’assenza, quindi. Cioè la voce che deve destabilizzare: Berlusconi non va perché Leonardo non ha seguito le indicazioni sulla formazione. Glielo chiedono, al presidente: «Io ho detto soltanto come avrei giocato io se fossi stato in panchina. Però l’allenatore non sono io».
Saluta, va, si siede, guarda, legge, il presidente. C’è uno striscione: «L’amore non è bello se non è litigarello. Avanti Silvio». Non sorride per quello, però. Deve pensare a Ronaldinho, perché lui c’è, anche se non davanti dove piacerebbe a lui e non con Seedorf alle spalle. Clarence, sì.
Tre minuti e mezzo per allacciarsi le scarpe, mettersi la maglietta, sistemarsi. Tre minuti per la fine. Voleva lui e lui ha tradito. Non è un nuovo acquisto, non è un titolo di calciomercato, non è un sogno estivo. Gli altri sì. È la differenza. Vale quattro a zero, vale i punti, vale di più.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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