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Il dispetto del giudice conservatore Barack ha dovuto rifare il giuramento

Di fronte, di nuovo: Barack Obama e John Roberts, cordiali nemici. Di fronte per il giuramento bis, perché per la prima volta un presidente è stato costretto a ripetere due volte la frase di inizio mandato: «Giuro solennemente che adempirò fedelmente all’incarico di Presidente degli Stati Uniti, e preserverò, proteggerò e difenderò, al meglio della mia capacità, la Costituzione degli Stati Uniti». Di fronte, di nuovo e qualche maligno ha addirittura pensato che Roberts l’abbia fatto apposta: un inciampo voluto nella formula del giuramento per far fare brutta figura all’avversario. Fantapolitica, forse. Spifferi e veleni ereditati dalla certezza che la sfida Obama-Roberts sarà dura e lunga. Perché il giudice capo della Corte Suprema è l’unico contropotere della Casa Bianca. Con un Congresso saldamente in mani democratiche, i nove signori togati del gradino più alto della giustizia Usa, faranno i soli cani da guardia dell’ortodossia conservatrice americana. Roberts ne è il volto e la voce. Lui che a Obama deve ancora una piccola vendetta: nel 2005 il neo presidente fu uno dei senatori che si opposero alla nomina del giudice al vertice della Corte: «La mia personale valutazione è che abbia usato le sue doti formidabili molto spesso a favore dei forti e contro le persone più deboli». Il Senato, controllato all’epoca dei repubblicani, non gli diede ascolto e votò il via libera al nuovo presidente.
Adesso contro. Ancora. Due facce, due storie, due passati, due futuri. Obama e Roberts sono lo stesso Paese visto da punti opposti. Il presidente è figlio di una famiglia mista sfasciata e ha un percorso personale complesso e inedito. Il giucice proviene da una tradizionale realtà cattolica bianca dell’Indiana e riflette l’America delle solide famiglie imprenditoriali del Midwest. Si sono quasi incrociati alla Harvard Law School, si sono scontrati nel periodo delle tensioni del Vietnam e delle battaglie per i diritti civili. Uno anti-Guerra, uno pro. Hanno preso strade opposte anche dopo: Obama ha cominciato una carriera politica di liberal, mentre Roberts acquistava notorietà come esperto di diritto conservatore.
Ora si ritrovano: una comandante di un Paese, l’altro custode della storia e della società. Aborto, ricerca, embrioni, matrimoni gay. Obama non vuole rivoluzionare l’assetto dell’America, ma se il Congresso liberal lo portasse a farlo, troverebbe la Corte Suprema a sbarrargli la strada. E Roberts sarebbe ancora il primo nemico. «I presidenti vanno e vengono, la Corte Suprema è eterna», diceva l’ex presidente William Taft. La carica a vita trasforma i giudici nelle sentinelle della giustizia americana. Nove, perché una maggioranza ci deve essere sempre. Nove e una composizione che posta ad avere quattro giudici di orientamento conservatore, quattro progressisti e uno moderato. Cioè Anthony Kennedy, ovvero l’uomo che spesso prende le decisioni. Negli ultimi venti casi finiti con un 5 a 4, è sempre stato nella maggioranza. Fu nominato da Ronald Reagan nel 1988. È stato lui a salvare il diritto di aborto negli Usa ribadendo il parere dello storico caso Roe contro Wade. Chiunque voglia cambiare quella sentenza in un modo o nell’altro sa che con questa Corte non potrà.
Uno scenario che non cambierà per qualche tempo: i giudici che potrebbero ritirarsi o morire, dando così la possibilità a Obama di scegliere sostituti, sono in prevalenza liberal. Ci va verso il braccio di ferro, allora: Corte contro Casa Bianca, Obama contro Roberts. Ieri, oggi e domani: se Obama restasse presidente otto anni, lascerebbe l’incarico 55 anni. Giovane ed ex professore di diritt: un perfetto candidato per un posto nella Corte.

È presto, prima la battaglia sarà tra presidente e giudice capo.

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