Distratti e imbranati Ecco i baristi rovina-colazioni

Venticinque millilitri in 25 secondi a una temperatura di 67 gradi. Ecco l’equazione matematica della perfetta tazzina di espresso. Il risultato però (non trattandosi di numeri ma di bevanda) purtroppo non è quasi mai da 10 e lode.
Perché chi la esegue (il barista) aggiunge spesso errori come distrazione, fretta o mancanza di igiene. Così, questo sì è matematico, uscendo dal bar dopo la pausa caffè, ci ritroviamo con l’amaro in bocca. Invece di conservare un sapore «di pane tostato, cioccolato, profumi fruttati e note di fiori». Parola di Luigi Odello, professore universitario di Analisi sensoriale e segretario generale dell’Istituto nazionale espresso italiano, che ha organizzato ieri a Milano un breve corso di «sopravvivenza caffeicola». «Tutti gli errori del barista. Ciò che non dovreste mai vedere in un bar» (questo il titolo) nasce dall’esperienza sul campo ma anche da una ricerca sulla qualità del caffè al bar, condotta con Altroconsumo, Istituto assaggiatori caffè e Centro studi assaggiatori.
Errori tecnici? Non solo, purtroppo, perché la prima mancanza secondo gli italiani è la noncuranza del barista (oltre al livello del servizio e la pulizia): «Entro in un bar, chiedo un espresso e la richiesta pare cadere nel vuoto. E questo è il primo errore», racconta Odello nei panni di cavia per un giorno. Tenendo conto anche del fatto che il 56% dei bar italiani non sia chiaro sulla marca del caffè utilizzato, ecco il secondo errore: «Mettere più di due file di tazze sopra la macchina, perché le ultime rimangono fredde». E ancora: le tazzine cilindriche, che non aiutano la formazione della crema (invece dovrebbe esserci sempre). Il macina-dosatore del caffè pieno fino all’orlo, perché la polvere invecchia più dei chicchi. E le scie di caffè sotto gli attrezzi, che denotano fretta e scarsa pulizia. Sono quindici le mosse che un bravo barista dovrebbe evitare secondo l’Istituto. Al nono posto: non pressare in modo adeguato la polvere, pena un caffè troppo acquoso. Altri errori: non pulendo i bordi del portafiltro, si rovinano le guarnizioni e il caffè sa di gomma bruciata. Se il caffè sa di «paglia o di arachide», la miscela è di qualità scadente. Da bandire anche la «tazzina traboccante». E il cappuccino? «Si rovina con errori come: bollire il latte invece di montarlo, riscaldare il latte già montato per i cappuccini precedenti, non pulire la lancia del vapore», dice Odello.
Intendiamoci, non tutti i bar d’Italia sono da bocciare.

Quelli che però hanno passato l’esame (e dunque preparano un «espresso italiano certificato») sono poco più di mille sui «150mila esercizi in cui ogni giorno si consumano 35 milioni di tazzine di caffè», spiega Marco Paladini, presidente dell’Istituto, che conclude: «Siamo nati proprio per tutelare un grande patrimonio chiamato caffè, che ha un giro d’affari che lo rende secondo solo al petrolio».

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