Un politico, finiano, con le mani in pasta. E con più di un problemino per il suo gruppo alimentare: multe salate per aver fatto parte di un presunto «cartello» mirato a fregare la concorrenza alzando i prezzi di spaghetti e rigatoni; un’inchiesta della magistratura in dirittura d’arrivo preannunciata da una perquisizione nello storico stabilimento di famiglia a Rutigliano, provincia di Bari; un esplicito richiamo del garante, a lui e ai colleghi, ad abbassare i prezzi. C’è questo, ma non solo, nel recente pedigree del «Re della pasta» Francesco Divella, passato dal Pdl al Fli, cugino e socio in azienda dell’ex presidente della provincia rossa di Bari, Enzo, vendoliano doc non ricandidato.
Le disavventure del Divella finiano, a capo di un impero alimentare che detiene l’otto per cento di quota del mercato italiano, cominciano nel 2009, quando l’Antitrust rifila una multa di 12,5 milioni di euro ai più grossi produttori di pasta italiani, fra cui la Divella Spa. Per il Paperone pugliese della pasta, che è anche coordinatore regionale in Puglia del comitato costituente del partito di Fini, è un colpo all’immagine: la somma da sborsare è di 1 milione e 300mila euro. Il Tar, chiamato a dirimere la controversia, conferma la decisione dell’Antitrust secondo la quale un nutrito gruppo di imprenditori-pastai, insieme all’Unipi (Unione industriali pastai italiani il cui vice presidente è il responsabile export Divella) «hanno posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza finalizzata a concertare gli aumenti del prezzo di vendita della pasta secca di semola da praticare al settore distributivo». Il presunto accordo, rivela sempre l’Antitrust, è stata realizzato «dall'ottobre 2006 fino almeno al primo marzo 2008, attraverso diverse condotte, tra le quali la partecipazione alle riunioni presso l'Unipi che ha concorso alla realizzazione dell’accordo anti-concorrenziale comunicando al settore pastaio, ai clienti e alla pubblica opinione gli aumenti prestabiliti, facilitandone la realizzazione (...). Una volta raggiunta l’intesa sull’aumento (...) ciascuna impresa, tenendo conto dei valori di riferimento concordati, ha deciso la propria politica di prezzo».
L'Antitrust contesta, insomma, «la decisione congiunta e le modalità anticoncorrenziali con le quali si è arrivati agli aumenti stessi. La prova sarebbe contenuta nei «copiosi documenti rinvenuti nel corso dell’istruttoria che dimostrano inequivocabilmente che le imprese hanno concertato una comune strategia di aumenti dei prezzi». Per le associazioni di consumatori (Adoc, Adusbef, Codacons) in quel periodo il prezzo della pasta sarebbe cresciuto anche del 30 per cento, nel mentre il prezzo del grano registrava un forte ribasso.
La decisione dell’Antitrust e l’esposto dei rappresentanti dei consumatori sono alla base delle perquisizioni disposte dai pm romani Stefano Pesci e Nello Rossi nello stabilimento pugliese di Rutigliano. Il fascicolo d’indagine ipotizza il reato previsto dal 501 bis (manovra speculativa sul prezzo delle merci) ovvero la creazione, tra il 2007 e il 2008, di un «cartello» che avrebbe monopolizzato il mercato della pasta per un aumento ingiustificato dei prezzi, così come paventato da un’informativa della Gdf attesa per le prossime ore a piazzale Clodio. La stessa idea sembra essersela fatta il garante per la sorveglianza sui prezzi, Roberto Sambuco, che ha chiesto chiarimenti sulla «congruità della formazione del prezzo al dettaglio della pasta rispetto a quelli all’ingrosso e della materia prima». Si sarebbe infatti «scoperto» che quando il prezzo del grano è salito, spaghetti e maccheroni sono rincarati, ma quando il frumento è tornato a livelli normali, il prezzo della pasta è sceso di pochissimo.
Ricostruzione dei fatti negata al Giornale da Vincenzo Divella, che guida l’azienda insieme al parente finiano Francesco.
(ha collaborato Luca Rocca)
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