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La doccia scozzese costringerà Prodi a gettare la spugna

Paolo Armaroli

Non sappiamo se Romano Prodi abbia uno psicologo di fiducia. Qualora non lo avesse, farebbe bene a procurarsene al più presto uno. Perché ogni giorno ha la sua croce e ormai è in preda a una crisi di nervi. Bisogna capirlo. Al Professore non ne va bene una, che è una. Sono lontani i tempi della campagna elettorale. Quando, confortato da sondaggi che lo davano nettamente in testa, ostentava un’aria paciosa e, si fa per dire, rassicurante. Poi, da un momento all’altro, tutto gli è andato storto. E le docce scozzesi si sono susseguite di continuo.
Alla chiusura dei seggi, alle tre di lunedì scorso, era felice come una Pasqua e sprizzava gioia da tutti i pori. Per forza. Gli exit poll davano il centrosinistra in netto vantaggio sul centrodestra. Sicuro ormai della vittoria, annunciava che avrebbe arringato il suo popolo alle cinque della tarde. Un appuntamento rinviato di ora in ora, fino alle tre di notte. Lui, Fassino, Rutelli e compagnia cantante avevano dato per spacciato Berlusconi. Inconsapevoli di trovarsi di fronte a un fenomeno che, secondo la pubblicità di una nota marca di caffè, più lo butti giù e più si tira su, che ha sette vite come i gatti, che è praticamente immortale come assicura il suo medico, Umberto Scapagnini, e che ha avuto una rimonta che ha dell’incredibile. Al punto da confermare Forza Italia al primo posto nella graduatoria dei consensi.
Insomma, Prodi aveva fatto i conti senza l’oste. E alla fine anche la risicata vittoria gli è andata di traverso. Al Senato l’Unione ha avuto 400 mila voti meno della Casa delle libertà. Mentre alla Camera ha potuto fruire del premio di maggioranza grazie ad appena 24 mila voti in più. Il guaio è che tutto è a posto e nulla è in ordine. Le schede contestate o provvisoriamente non assegnate sono parecchie. E spetta agli uffici centrali circoscrizionali procedere al loro riesame e decidere, ai fini della proclamazione, sull’assegnazione o meno dei voti relativi. È principio generale recepito dalla legge e ribadito da svariate circolari del ministero dell’Interno che la validità del voto contenuto nella scheda deve essere ammessa ogni qualvolta possa desumersi la volontà effettiva dell’elettore. Siamo sicuri che le cose siano andate così? Ma allora non si capisce perché mai si meni tanto scandalo per il fatto che Berlusconi voglia vederci chiaro prima di ammettere la vittoria (di Pirro) del suo antagonista.
Per Prodi gli esami non finiscono mai e le insufficienze saltano agli occhi: pensate, era convinto di formare il governo in quattro e quattr’otto e si è recato al Quirinale per spronare Ciampi ad avallare la sua opinabile tesi. Cose da matti. Non si era mai visto il bel caso di un tacchino che reclami l’anticipo del Natale, quando finirà regolarmente in pentola. E gli è stato sbattuto in faccia un comunicato ufficiale che ribadisce l'esatto contrario. Dunque non sarà Ciampi a battezzare il nuovo governo ma il suo successore. Perciò prima il Parlamento eleggerà il presidente della Repubblica.
Nei panni di Prodi, rifiuteremmo l’amaro calice dell’incarico. Perché tutto congiura contro di lui. Per la presidenza della Camera siamo al braccio di ferro tra Bertinotti e D’Alema. Al Senato non passerà uno spillo né nelle commissioni, in molte delle quali non ci sarà una maggioranza precostituita, né in assemblea, dove mancherà di continuo il numero legale. E non s’intravede a breve un accordo neppure sul candidato al Colle. Tant’è che Prodi, più frustrato che mai, paventa che il governo Berlusconi rimanga in carica fino a giugno inoltrato. Professore, dia retta, getti la spugna.

Altrimenti sarà spremuto come un limone per qualche mese. E nella prossima primavera, quando si tornerà alle urne, sarà Veltroni, che già si riscalda ai bordi del campo, a contendere a Berlusconi la palma della vittoria.
paoloarmaroli@tin.it

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