Dodici minuti di applausi Harding: «Un grande pubblico»

Sabrina Cottone

da Milano

«Io come Arturo Toscanini? Spero di aver trattato l’orchestra in modo più gentile di quanto faceva lui...». Eccolo sul palco, Daniel Harding, a brindare con gli artisti dopo dodici minuti di applausi, leggero anche nel mettersi a confronto con il mostro sacro della storia della Scala. Lui dà il ritmo della festa agitando la bacchetta sulla gamba, gli altri lo seguono sorridendo. Emozionato? «Stanco». Ma l’inizio faticoso, la diffidenza dei loggionisti, qualche palco vuoto, le mani che in platea battono lente e senza convinzione sono un ricordo sommerso dal tappeto di rose bianche volate giù quando si è spenta l’ultima nota.
Il direttore più giovane sul podio della prima milanese, chiusi gli spartiti, fa ciò che farebbe qualsiasi tifoso trentenne: «Ho subito chiesto notizie del Manchester, che giocava in Coppa. Mi hanno detto che stavamo uno a uno, adesso corro a controllare che succede». Provocato sull’età, non raccoglie: «Come mi sento a dirigere così giovane? Non saprei, non sono in grado di dire come ci si senta a essere qui da più vecchi. Chiedetemelo tra vent’anni». Nel frattempo, piovono i complimenti, ma lui non si abbandona: «Chi viene alla prima si deve sempre aspettare di vedere la performance peggiore. Però abbiamo realizzato un’esecuzione di cui essere fieri. E lo siamo, tutta la squadra».
Il pubblico si lascia convincere soltanto dopo il primo atto. Lo dice candida anche Beatrice Harding, mentre aspetta il ritorno del marito in camerino: «Sono stati un po’ freddi all’inizio perché c’erano molte cose nuove. Poi si sono scaldati e è andato tutto bene». Il giovin direttore giura che non poteva sperare di meglio e c’è da credergli, non era facile sfidare il fantasma di Riccardo Muti grande assente dopo diciannove 7 dicembre al Piermarini. Potevano essere fischi, è arrivato solo qualche buuh e poi sembravano più diretti al regista, Luc Bondy, e alle scene che sembrano fatte apposta per entrare in dissonanza con l’oro e i broccati della Scala e di chi la frequenta. Harding ha stampato in faccia lo scampato pericolo: «Non si può chiedere di più al pubblico che essere silenzioso quando si suona e poi entusiasta quando si smette di suonare. Ed è quel che è accaduto: ho visto gente molto gentile e molto calorosa».
Insomma, la prova Mozart è stata superata. «Il mio compositore preferito? Per stasera diciamo di sì». Un po’ insidioso l’inno di Mameli, intonato in onore del capo dello Stato prima dell’inizio dell’opera.

Harding quasi si scusa: «Non lo conoscevo ma è un buon allenamento perché vorrei dirigere la Coppa del Mondo e allora devo imparare bene tutti gli inni nazionali...». E che ne dice di Ciampi? «La sua presenza è stata una cosa formidabile. E poi non si discute mai il Presidente». Anche a costo di scivolare sui fratelli d’Italia.

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