Politica

Don Fassino sgambettato sulla via di Damasco

L’uscita di Gavino «il garibaldino» vanifica quattro mesi di riavvicinamento alla Chiesa

Luca Telese

da Roma

Provate voi, anche solo per un momento, a immaginare il colloquio ipotetico e surreale di ieri, quello drammatico fra «Don» Piero Fassino - neocatecumeno che scopre a cinquant'anni la sua passione «tutta privata» (e politica) per la fede cattolica - e il suo capogruppo Gavino-Garibaldino-Angius, che ieri nell'aula del Senato si scagliava contro il mega-sconto fiscale alla Cei sull'Ici dicendo: «Si è aperta una nuova questione vaticana».
Provate solo a immedesimarvi nel dramma umano del segretario diessino, che sulla sua manovra di corteggiamento delle gerarchie ecclesiastiche aveva speso tanto impegno, per conquistarsi le credenziali necessarie in vista di una possibile stagione di governo. Un disastro: «Anche questa volta - dice con sarcasmo lucido e affilato Gavino-Garibaldino - l'impegno della Cei non è rivolto solo alla salvezza delle anime, ma anche ad affari economici, bancari, immobiliari, molto terreni». E basta questa frasetta a mettere nei guai il leader dei Ds, e a precipitarlo nel suo giro di moviola, quello per cui ogni volta che la Quercia si affaccia alla soglia della modernità, finisce per riprodurlo sempre in forme arcaiche, come se il problema fosse ancora la sanzione del principio «Libera chiesa in libero Stato».
Il dialogo impossibile fra Gavino-Garibaldino e Don Fassino è il cuore del problema che dilania la sinistra oggi: il segretario dei Ds accoglie a braccia aperte il figliol prodigo Gianni De Michelis, ma storce il naso di fronte a Marco Pannella, che non volle nel listone anche per un veto (mai smentito con convinzione e chiarezza) sulla possibile candidatura di Luca Coscioni. «È troppo schierato sulle cellule staminali», si sentì dire in una indimenticabile riunione Emma Bonino. Il segretario dei Ds l'estate scorsa si impegnò in un calorosissimo colloquio con monsignor Giuseppe Betori, vicepresidente della Cei, cercando di rassicurarlo (come scrisse L'Espresso mai smentito, in un articolo del luglio 2004) sul referendum: «Non si preoccupi - disse Fassino - non faremo una nuova crociata». E deve essere stato sicuramente di parola, se è vero che il leader dei Ds non accettò nemmeno di chiudere la compagna elettorale con una manifestazione unitaria del comitato promotore (sempre per evitare di trovarsi al fianco della «compromettente» coppia Bonino-Pannella).
Ieri Gavino-Garibaldino dava voce a tutti i malumori della base popolare ulivista, ricordava nell'aula del Senato che «la nuova questione vaticana investe la salvaguardia dei principi di libertà, di coesione sociale, di laicità dello Stato che stanno a fondamento della democrazia». E «don Piero» vedeva andare in fumo tutti gli sforzi coronati nel secondo colloquio riservato con Betori (quello rivelato - subito dopo il referendum sulla procreazione - da Il Corriere della Sera). La tela che, come Penelope, Don Fassino ha cercato di tessere, le baionettate neorisorgimentali di Gavino-Garibaldino infrangono.
E adesso, si chiederà di sicuro il segretario, a che cosa sarà valso fare le scuse a Ruini per i fischi (di cui non era nemmeno responsabile) e che per giunta la stragrande maggioranza degli iscritti al suo partito ha considerato un esercizio di laicità? Adesso a che cosa è servito esaltare (era solo il 2 ottobre, pochi giorni fa) «Il discorso di apertura verso la laicità dello Stato di Benedetto XVI?», se poi la Cei per il suo partito, della laicità diventa nemica? Che senso ha, aver detto entusiasta: «Nelle parole di Ratzinger noi tutti possiamo riconoscerci», se poi il suo capogruppo Gavino-Garibaldino Angius è costretto a dichiarare la sua intenzione di difendere la laicità dello Stato dall'invadenza della Chiesa?
Il mezzo outing cattolico di Fassino, nel momento in cui lo scontro fra laici e Chiesa precipita, diventa inutile. Così come diventa sempre più difficile per i Ds offrirsi come sponda alla Chiesa, nel momento in cui la Cei afferma: «Non si può votare un cattolico che ha appoggiato leggi abortiste». Chissà se don Fassino capirà che il conflitto con il suo capogruppo al Senato è un conflitto con la carne della sua carne, con il ragazzo che raccoglieva le firme a Torino per il referendum sul divorzio, e che adesso si trova a metà del guado. Rutelli è un convertito serio, uno che prima predicava il libero amore e il diritto all’aborto, e ora prende posizione contro i referendum.

Rutelli ha tagliato ogni ponte con l’ex radicale che portava il medaglione al collo, il segretario dei Ds ancora non sa che la quadratura del cerchio che sogna, tra don Fassino e Gavino Garibaldino, è un sogno impossibile.

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