Don Gallo attacca il Papa: «Riceve la Fallaci e non me»

Il «prete di strada»: «Ratzinger non parla di guerra Io non assolvo in confessione chi sostiene quella in Irak »

Don Gallo attacca il Papa: «Riceve la Fallaci e non me»

Maria Vittoria Cascino

da Monterosso

«Se il Papa ha ricevuto Oriana Fallaci, può ricevere anche un figlio di puttana come me». Don Andrea Gallo non la butta neanche tanto lì la storia delle udienze mancate. La tira fuori dal cilindro, la dosa quel tanto che basta, sembra dimenticarsene e poi di nuovo «belin, non mi riceve mica. C’è un documento firmato nel 2001 dal Cardinale Ratzinger che guai, vorrei proprio discuterne». È lì lì per aprire il libro, ma prima vuole attaccare la struttura della Chiesa, la gerarchia dei Ministeri, «che son sempre sul punto di scomunicarmi e non lo fanno mai».
Don Gallo parte col turbo. La sala è piena sul lungomare Fegina per l’incontro organizzato dall’associazione culturale Tempo Perso. La gente applaude e soprattutto ride. Perché don Andrea, prete di marciapiede «angelicamente anarchico», a 77 anni suonati sta in piedi due ore e ti dice che è lì per parlare d’amore. Gli danno sì del comunista, abortista e socialista, ma insiste che l’unica tessera che ha in tasca è il certificato di Battesimo. Se parla di Chiesa si mette i pattini e fa le giravolte, gli scappano da tutte le parti quei riferimenti «non puramente casuali». Gioca con i registri: uno resta fisso, gli altri s’incrociano, riempiono la testa di populismo e qualunquismo, tutti d’accordo, tutti sì con la testa, pronti per ciucciarsi l’artigliata finale: «Adesso abbiamo un bel Pastore tedesco che ci fa la guardia e dobbiamo accettarlo».
Ridacchiate alla don Gallo. Masticate e sapientemente somministrate, tra un pateravegloria senza paramenti, che tanto non servono («lo dico sempre ai Vescovi, se Gesù vi vedesse ingiarmati così...») e un volo basso, radente, sulla politica. Lui che se la ride «della candidatura alle primarie che quasi nessuno mi aveva offerto. Vi rendete conto che sottobosco abbiamo, i sondaggi mi davano addirittura secondo». Lui che invita chi voglia candidarsi («basta che non venga Berlusconi») a fare una passo alla sua Lanterna («la chiamano la trattoria dei drogati, è lì che ho fatto pace con D’Alema dopo che l’ho denunciato per la guerra in Kosovo»). Lui che ogni tanto sfoglia la Margherita «per vedere se mi ama, ma non mi ama mai». Lui che aspetta d’incontrare il sindaco Pericu per parlargli dell’Ici che fa pagare alla sua Comunità, «con i conti in rosso che abbiamo». Eppure ripete: «La mia scelta non è mai stata ideologica» anche se non si perde un corteo. Anzi, per lui è normale andare a occupare con dei ragazzi una scuola sopra Granarolo. «Ci vado perché i giovani hanno bisogno di spazio, di fare le cose da soli, di scegliere, di non stare nel recinto. Non sono mica tutti Papaboys». Colpo basso mica da ridere.
E tant’è una virata su Colonia, dove i suoi ragazzi forse non sono andati, don Gallo la fa. Torna il registro fisso, quello che non ammette divagazioni, quello che va dritto alla meta, quello dell’ironia che graffia per lasciare il segno: «Guarda un po’ se a Colonia hanno parlato della guerra in Iraq». Applausi. Sono tutti con lui: «Ma perché non mi fanno parlare col Papa?» È sul palcoscenico e quel refrain-tormentone, niente da dire, agguanta. Poi lui ci fa la coda «io non assolvo in confessione quelli che sono per questa guerra. Gli dico di andare più avanti dai Cappuccini che sono di manica larga». Applausi. «La mia scelta è evangelica, chi sceglie i poveri non sbaglia mai». Il filo non lo perde: «Ratzinger ha scelto il nome d’un Papa genovese, Benedetto XV. Quello della Grande Guerra come inutile strage. Nessuno dei potenti lo ascoltò. Perché il nostro Papa non fa un concilio per la pace?».

Poi salta alla contraccezione, «ferma a trent’anni fa. All’Humanae Vitae di Paolo VI. Ma le donne cosa contano nella chiesa?» Ci va giù duro, spiega i confronti teologici con una barzelletta, strappa altri applausi. Troppo facile. Troppo teatrale.

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