Donna indagata perché il Pd le ruba la firma per le elezioni

Donna indagata perché il Pd le ruba la firma per le elezioni

(...) quella del partito «Lavoro, progresso, libertà», formazione che sta più a sinistra di Rifondazione, e quella del Pd. La doppia firma era stata segnalata alla procura e il pm Stefano Puppo aveva aperto un’inchiesta, anche perché una delle due firme, in particolare quella per la lista del Pd, era palesemente falsa. I dati corrispondevano alla donna, ma la grafia era totalmente diversa. La «vittima» della clonazione era stata ascoltata dagli inquirenti e aveva confermato che la sua firma era invece quella che compariva sotto la lista del partito ultracomunista. Ma persino in quella situazione c’era stato, a suo dire, un inganno clamoroso. La signora ha infatti spiegato di non aver sottoscritto una lista elettorale, ma di essersi solo fermata a un banchetto di animalisti che chiedeva sostegno a una petizione.
La sua firma sarebbe cioè stata carpita da un gruppo che diceva di avere altre finalità. È successo più o meno quello che ad ogni scadenza elettorale spesso viene denunciato da molti protagonisti della vita politica (senza che peraltro si arrivi mai a riscontri oggettivi). E cioè che i partiti «acquistino» in blocco moduli di firme raccolte con altre scuse da gruppi e associazioni che in questa maniera addirittura si autofinanziano. A prescindere da ciò, anche se la genovese avesse firmato volontariamente per la lista di ultrasinistra, resterebbe vittima della clonazione operata dal Pd. Invece risulta lei indagata.
L’atto è meramente tecnico. Firmare per due liste contemporaneamente è reato e in linea teorica ad averlo commesso in questo caso sarebbe la genovese sessantanovenne. Che, da indagata, avrebbe tutte le garanzie per potersi difendere meglio. Ineccepibile dal punto di vista procedurale e teorico. Di fatto, la vittima del furto di identità è formalmente accusata del falso e la prossima volta dovrà presentarsi con l’avvocato. Lo stesso pm sembra intenzionato a non convocarla in procura ma farla ascoltare in modo meno traumatico dai carabinieri. Tutto il tatto possibile, però, non potrebbe cambiare la sostanza.
L’indagine, condotta con la massima accuratezza dal pm che si ripromette di verificare se tante altre firme della stessa lista sono falsificate, parte necessariamente dal primo punto fermo della vicenda, dalla donna «che firmò due volte». Che se è il primo punto fermo, di certo non è l’unico. Perché due liste con il suo nome sono state presentate e certificate. In calce a tutti i moduli c’è il nome di un consigliere comunale o provinciale, o di un cancelliere, o di un notaio. Insomma, di una persona qualificata che garantisce per l’identità dei sottoscrittori e per l’avvenuta firma in sua presenza. Se almeno una delle due firme della signora è falsa (o se addirittura anche quella vera non è stata raccolta come certificato dall’autenticatore) il nome di un responsabile, quantomeno meritevole di essere «sospettato» del falso, c’è. Dal punto di vista anche tecnico, c’è almeno un’altra persona che ha diritto a difendersi con un avvocato, che ha diritto a finire sul registro degli indagati, che ha diritto a doversi giustificare di fronte a un magistrato. Che poi alla fine possa non essere il solo e comunque si dimostri il principale indiziato per un rinvio a giudizio o una condanna, sarà l’inchiesta a stabilirlo.


Per ora ai cittadini sembra arrivare un solo messaggio: non firmate mai nulla. Tantomeno in prossimità delle elezioni. Se un partito, addirittura il Pd, ruba l’identità a un cittadino, il primo (e finora l’unico) a finire sotto inchiesta è la vittima.

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