La donna riscopre l’etnico e lo veste di barocco

«La forma è la sostanza» diceva Aristotele, il maestro dei sapienti. Tirare in ballo un principio metafisico per parlare di moda può essere secondo i casi esagerato o inopportuno, ma davanti alla collezione Gucci della prossima estate in passerella ieri a Milano venivano in mente citazioni d'ogni tipo, nessuna delle quali banale.
C'era ad esempio un uso del colore a blocchi paragonabile solo a Yves Saint Laurent, il più coraggioso di tutti nell'osare accostamenti pazzeschi perfino per l'arte: verde smeraldo, viola e turchese, oppure arancio caramellato e ametista. Ci sono cenni di etnico talmente preziosi e sofisticati che quasi non si vedono anche se poi Frida Giannini confessa di aver trovato durante un viaggio a Marrakech l'ispirazione per certi decori sulla pelle, per gli spettacolari intrecci di piume, cristalli e vinile nei fantastici abiti da sera sopra al ginocchio e soprattutto per i grandi collari berberi incastonati nella stoffa delle tute-palazzo. Proprio da questo capo che l'intelligente ragazza alla guida della griffe delle due G chiama «harem pants» arriva forte e chiaro il messaggio di collezione: forme nuove per disegnare sul corpo tutti i percorsi della sensualità. Così il tradizionale pantalone con il cavallo abbassato che gli addetti ai lavori della moda chiamano «Sarouel» diventa quasi un modello fetish: stretto e fluido allo stesso tempo, qualcosa in cui chiunque avrebbe voglia di frugare perché chissà cosa c'è sotto.
Frida Giannini parla di Florinda Bolkan e Tatiana Santo Domingo, di Talita Getty e Bianca Brandolini: bellezze di ieri e di oggi accomunate da quel supremo disprezzo delle consuetudini per cui gli oggetti più lussuosi diventano il minimo sindacale e la bellezza viene intesa come un'impellente necessità. Tutti i modelli in pelle erano veri e propri capolavori di alto artigianato: dalle giacche fatte in strisce di camoscio fermate con anellini metallici alle scarpe costruite sull'idea di una gabbietta intorno al piede per non parlare delle borse in cuoio tamponato con il nuovo modello di morsetto che darà un grande filo da torcere ai falsari.
Completamente diversa la donna disegnata da Alberta Ferretti sembra una ninfa di città persa in una specie di giardino incantato, ma anche nel suo caso tutto comincia da uno studio supremo di forme e soluzioni. Per cui le stampe che sembrano riprese da un erbario settecentesco diventano come un tatuaggio sul corpo essendo velate da un secondo strato di chiffon su cui compaiono fiori tramblant di pizzo macramè. Invece la linea fluida e morbida degli abiti lunghi fino ai piedi calzati sempre da sandali rasoterra, conferisce un'immagine vagamente hippy e seriamente chic ai capi che sembrano usciti dal baule della nonna, ma a ben guardare da tempo mancano nel guardaroba femminile. Del tutto inutili i cappelli di paglia un po' ciancicati che fanno pensare alla romantica donna inglese di una volta: persa nel suo giardino o annegata nel tè.
Si torna in Africa per le bellissime forme e gli spettacolari decori dei modelli di Rocco Barocco. «Ho fatto un viaggio immaginario in Costa d'Avorio» racconta l'irresistibile stilista di Ischia poco prima di presentare le sue tute palazzo fasciate sui fianchi, sbuffanti sotto e quindi aderenti dal ginocchio in giù indossate con deliziose giacchine di tulle decorate da chilometri di seta, cotone e canapa intrecciati tra loro fino a formare un nastro senza fine.

«Dalle grandi firme alle grandi forme» dichiara Piero Chiambretti nel backstage di Elena Mirò, il marchio dedicato alle taglie morbide che da solo fattura 150 milioni di euro all'anno perché, con buona pace degli stilisti, il 35 per cento delle italiane e più del 50 per cento delle americane veste taglie dalla 44 in su.

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