Le donne sono le maggiori utilizzatrici di farmaci, con consumi superiori del 20-30% rispetto agli uomini. Non solo: sono anche le prime consumatrici di integratori alimentari e rimedi botanici, con circa il 40% in più di mariti e fidanzati. Nonostante questo, i medicinali sono poco studiati nel «gentil sesso»: sia gli studi clinici che preclinici sono eseguiti prevalentemente su soggetti maschi e giovani. Per evidenziare le più importanti problematiche connesse a questo argomento è nato il volume «Farmacologia di genere», edito dalla Casa editrice SEEd con il patrocinio della Società italiana di farmacologia (Sif), presentato ieri al Senato.
I grandi trial clinici per lo studio di terapie contro disturbi cardiovascolare - si legge nel volume - non hanno mai arruolato più del 26-36% di donne, rimanendo molto spesso, quindi, al di sotto della potenza statistica necessaria a evidenziare differenze di efficacia e di sicurezza dei farmaci sperimentati. Questo atteggiamento ha determinato forti carenze nelle conoscenze relative alla risposta ai farmaci. Solamente testando un medicinale nelle diverse categorie di pazienti e con un campione sufficientemente rappresentativo è infatti possibile raccogliere informazioni che possano anticipare le reali caratteristiche di efficacia e di sicurezza in condizione duso sullintera popolazione.
Inoltre, il pregiudizio di generè spiega, almeno parzialmente, la maggiore frequenza e gravità delle reazioni avverse nelle donne rispetto agli uomini. Per cercare di superare questo gap di conoscenze è nata la farmacologia di genere, che evidenzia se le risposte ai farmaci sono diverse fra uomini e donne, considerando le variazioni fisiologiche della donna, che avvengono in funzione della ciclicità della vita riproduttiva, delletà e delluso di associazioni estro-progestiniche.
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