Donne in pensione a 65 anni, ok della Marcegaglia

RomaL’anticipo della parità per le pensionande statali non spaventa una delle poche donne italiane in una posizione di vertice. Quello sollevato dalle istituzioni europee sulle pensioni «è un tema vero», ha detto la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia che ieri si trovava in Cina per la missione di sistema. «In un Paese dove grazie al cielo l’età di vita è tra le più alte in Europa, e quella delle donne lo è ancora di più, il tema dell’innalzamento dell’età va affrontato», ha spiegato Marcegaglia.
Qualcosa di più rispetto al sostegno alla richiesta della Commissione europea al governo italiano, che si limita a chiedere l’anticipo al 2012 dell’innalzamento a 65 anni dell’età della pensione per le donne che lavorano nella pubblica amministrazione. La tesi di Marcegaglia si può estendere a tutte le lavoratrici, ma la lettera di Bruxelles riguarda solo il pubblico impiego, come ha ricordato il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. La Commissione europea è «molto ferma nel chiedere l’immediata equiparazione nel settore pubblico, e sottolineo pubblico», ha spiegato il ministro. Sacconi ha ricordato perché l’equiparazione dell’età pensionabile di uomini e donne è stata limitata allo Stato. «L’aspetto che avevamo cercato di attenuare era proprio quello di un immediato passaggio a un regime diverso in un ambito, quello del pubblico impiego, nel quale vige la sicurezza del posto di lavoro». In altre parole, inasprimenti dei requisiti della pensione sono possibili solo nel pubblico. E anche lì devono essere graduali.
Ma nella maggioranza non manca chi solleva temi ancora più spinosi. Il presidente dei deputati Pdl Fabrizio Cicchitto ha addirittura rievocato un ritorno dello scalone della riforma Maroni. «Il problema posto dall’Unione Europea è un problema reale e c’è stata da parte di alcuni di noi la riflessione se non si debba fare un’operazione strutturale nei confronti del sistema pensionistico, recuperando la riforma Maroni, dissennatamente smontata a suo tempo da Prodi». Proposta molto forte. La riforma varata dal precedente governo Berlusconi elevava nel 2008 il pensionamento di anzianità di tre anni da 57 a 60. Il governo Prodi abolì lo scalone e lo sostituì con un innalzamento graduale dell’età delle pensioni di anzianità con un provvedimento che comporta maggiori spese per 10 miliardi fino al 2018. Il governo Berlusconi ha deciso di non toccare la «controriforma» del governo di centrosinistra. Difficile che adesso si torni alla prima riforma. Sacconi è contrario e anche il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Prudente anche la Lega. A favore di interventi più incisivi sulla previdenza, il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta. E anche Giuliano Cazzola, senatore Pdl ed esperto di previdenza. Sicuro che la strada per fare risparmi sia, più che un ritorno dello scalone, un intervento che riguardi le pensionande del privato.

«Basterebbe - spiega - allineare nel 2013 il requisito di età previsto per le pensioni di anzianità delle donne a quello della vecchiaia». In sostanza, le pensioni di vecchiaia delle lavoratrici del privato salirebbero da 60 a 62 anni. «Solo questa misura - spiega Cazzola - porterebbe un miliardo di risparmi».

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