Okay, benvenuti nel nostro mondo, non che vi aspettassimo, ma sapevamo che prima o poi avreste bussato alla nostra porta. Volevamo presentarci. Siamo canadesi, occidentali, liberi. E ci piacciono le donne. Vi spieghiamo subito quali sono le regole di casa così potete mettervi subito a vostro agio. Poche norme, chiare, non farete fatica a rispettarle. Primo: le donne non si bruciano vive. Secondo: le donne non si sfregiano con l’acido. Terzo: le donne non si lapidano. Quarto: le donne si amano, non vanno infibulate. Cinque: le donne sono belle non si coprono con il burqa. Anzi, adesso vi spieghiamo noi come si trattano le donne...
Hérouxville, 1.323 anime contate nella provincia francofona del Quebec, 103 anni di età, un angolo di terra incantevole, circondato da montagne, a ridosso del lago Lac-à-la-Tortue, a due passi dal Parco Nazionale della Mauricie, campi che sanno di erba nuova. Regno dei separatisti canadesi ma nuova frontiera del mondo. Dove non si rinuncia alle proprie tradizioni per non offendere le altrui, dove non si accettano le altrui tradizioni per evitare che ci offendano e basta. Ma dove per legge è vietato vietare.
L’idea è di un consigliere comunale del posto, André Drouin, faccia simpatica, di chi sa il fatto proprio, l’hanno già ribattezzato Codice di Hérouxville, manco fosse il Codice Da Vinci, e la speranza è che faccia presto scuola dappertutto. È riservato ai futuri immigrati, ma solo perché quelli del posto lo applicano già, è un codice di comportamento, fortemente sponsorizzato dal consiglio comunale che ha tutta l’intenzione di applicarlo, per tutti quelli che intendono rifarsi una vita qui, nella piccola ma per nulla remissiva comunità di Hérouxville. Gente previdente che si prepara ad accogliere gli stranieri che, prima o poi, arriveranno anche qui visto il crescente numero di immigrati che il Canada sta registrando da qualche anno a questa parte. Un codice che non ha alcun valore giuridico ma che, manco a dirlo, ha già provocato l’ira della comunità islamica e le accuse di razzismo e xenofobia da parte dei soliti noti. Eppure nella sua banalità è una rivoluzione
Non si vieta, si permette. Anzi si consiglia vivamente. Alle donne è permesso guidare l’automobile, alle donne è permesso ballare, alle donne è permesso mostrarsi a volto scoperto, sottoscrivere assegni, votare, vestirsi come meglio credono, lavorare dove pare loro, acquisire beni di proprietà. E se poliziotte, far scattare le manette ai polsi di chi disturba la quiete pubblica di Hérouxville, senza guardare in faccia nessuno, ma senza bisogno per questo di indossare un velo. Basta chiudere a chiave la propria femminilità, basta vivere passioni intense, ma silenziose. Alle donne è permesso vivere.
André Drouin dalla soglia della piccola casetta bianca e blu al 1060 di Rue Rang Saint Pierre, sede del consiglio municipale, dove sta scritto «La municipalité de Hérouxville vous souhaite la Bienvenue» se la ride. Sembra venuto dal passato per chiudere i conti col presente. Sa di avere scatenato un putiferio chiedendo a tutti di fare solo quello che fanno di solito, ogni giorno. Razzismo? Perché la libertà è forse razzista? «Be’, nel documento è molto chiaro che gli stranieri sono i benvenuti da noi. Noi desideriamo accoglierli, è scritto nero su bianco. Ma vogliamo anche dire a chi viene a vivere a casa nostra chi siamo. Vogliamo aprire le nostre porte a persone di ogni nazionalità, lingua, orientamento sessuale. A patto che non portino qui i loro divieti, le loro proibizioni, le loro discriminazioni. Vogliamo semplicemente informare i nuovi arrivati che certe tradizioni che hanno lasciato alle spalle non si possono ricreare qui da noi». Devono portare qui i loro sì, non i loro no.
Tutti contenti? Macché. La comunità islamica del Quebec ha protestato indignata, il Consiglio musulmano di Montréal ha subito liquidato il «codice» come offensivo e stereotipato. Ma sul sito del consiglio comunale sono piovute migliaia di mail quasi tutte favorevoli. Certo il paese è di tradizioni cristiane. Deve il suo nome a San Timoteo d’Hérouxville e i suoi natali a un abate che il 22 dicembre 1897 pose la prima pietra della cappella, nucleo fondante del paesino. I simboli comunali che splendono sul gonfalone sono racchiusi in una croce che simboleggia le convinzioni religiose degli abitanti.
L’unica cosa che non si sa per ora è il parere dell’unica famiglia di immigrati che ha già da tempo piantato radici in paese. Però l’hanno invitata con tutti gli onori alla tradizionale «Festa dell’amore» di sabato prossimo. Soprattutto le donne, purché a volto scoperto. Pare abbiano accettato. Strano ma velo...
Massimo M. Veronese
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