Laltro giorno, su una strada a scorrimento veloce, sono rimasto incuriosito da uno dei manifesti elettorali dellUdc, con gigantografia di Pier Ferdinando Casini e scritta a caratteri cubitali: «Fra destra e sinistra scegli lItalia. Vota Udc» con Pier che indicava una strada con il dito. Seguendo quel dito, mi sono convinto di aver finalmente capito dove voleva andare lUdc: la traccia della mano di Casini partiva dal centro per portare indubitabilmente verso destra, come confermano ad esempio le ultime regionali sarde dove lUdc, alleata con il centrodestra, ha fatto il pieno di voti.
Poi, però, tutte le mie certezze esistenziali sono state messe a dura prova dal percorso di ritorno. Stessa strada, stesso manifesto, stesso Casini, stesso dito, stessa operazione per capire dove andasse a finire. Anche stavolta, ho faticato per stare dietro a Pier, ma alla fine ho ottenuto il risultato che volevo: capire la direzione del dito. E, stavolta, senza alcun margine di dubbio il Pierdito andava dal centro verso sinistra, chiarissima metafora delle alleanze in Trentino, dove lUdc vince con il fortissimo centrosinistra a statuto speciale.
Sapete come è andata a finire? Che - a furia di seguire dita e controdita - ho rischiato ovviamente di andare a sbattere. E, anche in questo caso, siamo alla metafora perfetta. Del rischio che corre lItalia di fronte alla nuova politica dei due forni, al Franza o Spagna purchè se magna, alla lotta contro il bipolarismo per tornare al «pluralismo» stile prima Repubblica. E cioè che il nostro Paese faccia un enorme passo indietro, buttando via una delle poche conquiste degli ultimi anni: il bipolarismo, per lappunto. La capacità di scegliere e di stare o di qua o di là. Magari turandosi il naso. Magari scegliendo il meno peggio. Magari rinunciando a trentotto gruppi e componenti parlamentari, tutti regolarmente ricevuti al Quirinale in occasione delle tradizionali e simpatiche crisi di governo, compresi quelli con un unico rappresentante in Parlamento e compresi quelli delle minoranze linguistiche ricevuti tre volte: una per la Camera, una per il Senato e una come rappresentanza del partito.
Insomma, è un fatto. Abbiamo rinunciato a un po di rappresentatività. Ma, in compenso, abbiamo guadagnato in governabilità.
Invece, Pier. Invece, il dito. Invece, Casini. Invece, casini. Ieri, ad esempio, il leader dellUdc ha presentato il candidato del suo partito alla presidenza della provincia di Milano. E, fin dal suo cognome (Marcora, Enrico Marcora), abbiamo iniziato a respirare aria di convergenze parallele, di caminetti della Camilluccia, di scontro fra basisti e dorotei, mantecato di passaggi di schieramento di truppe forzanoviste, giochetti andreottiani e tempeste della corrente del Golfo.
Ma il cognome non è certo una colpa, anzi. Fondamentalmente è una coincidenza onomastica, un giochino da anagrafe a spasso nel tempo, un ricordo di quel Giovanni Marcora che fu proprio uno dei leader storici della sinistra democristiana di Base.
Il problema non sta nelle omonimie con quelli di un tempo. Il problema sta nei programmi uguali a quelli di un tempo. Sta nelle parole di Casini, nel suo appello ai delusi di Pdl e Pd: «Noi ci rivolgiamo a tutti i delusi di uno schieramento e dellaltro, di un bipartitismo che in Italia significa monopartitismo. Davanti a questo scenario facciamo un appello a trecentosessanta gradi».
E fin qui non ci sarebbe nulla di strano. Anzi. Casini fa il suo lavoro ed è legittimo che faccia un appello a tutti coloro che non si ritrovano in tutte le scelte dei due maggiori partiti. Anzi, anche lironia nei confronti dei sondaggi è gradevole. Comunque, adatta al ruolo di terzo incomodo di Pier.
Il problema è immediatamente successivo, quando il leader dellUdc non ci prova neanche a fare la solita scena di quello sicuro di vincere al primo turno contro i due giganti, ma spiega candidamente che il suo obiettivo è che «nessuno vinca al primo turno, perchè vogliamo mostrarci determinanti». Ma non basta. Nessuna parola sulle alleanze per un possibile secondo turno: «È presto per dire con chi ci schiereremo. E comunque esprimere prima di un eventuale ballottaggio la scelta che si farà, equivale ad amputarsi parte degli elettori. E noi, francamente, non siamo più fessi degli altri». E cè tempo ancora per un ultimo corollario. In Provincia di Milano lUdc corre da sola, ma mantiene comunque gli assessori che siedono nelle giunte di centrodestra della Regione Lombardia e del Comune di Milano: «Rispettiamo il patto con gli elettori». Insomma, roba da far venire il mal di testa e alla fine per capirci qualcosa serve una massiccia dose di analgesico per capire dove sta lUdc.
Ripeto: ogni scelta è più che legittima e, personalmente, penso che Casini abbia molti valori positivi da portare. Quello che è meno legittimo è giocare con i voti e portarli di qua o di là a seconda delle convenienze. Quelli dei due forni si scottarono; a quelli di Ghino di Tacco non andò meglio.
Io, per sicurezza, ora quando vedo il manifesto con il dito di Pier accelero. Meglio rischiare lautovelox che un Paese che rinuncia deliberatamente a correre rincorrendo modelli antichi. E sconfitti. Con le mani libere, si va a sbattere.
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